martedì 22 gennaio 2013

Birra, grappa, cocaina e povertà - quinta puntata


Riassunto delle puntate precedenti
Ela vive a San Leonardo, in un appartamentino del villaggio ‘‘Il Gabbiano’’, insieme a Gregorio e altri due rumeni. Intrattiene rapporti poco limpidi con il Bullo di Casacalenda, da lei definito ‘‘il vecchio’’. Un giorno della seconda metà di maggio mi chiede di accompagnarla in un negozio cinese perché vuole comprarsi un costume da bagno. Al ritorno mi dice:
«Stasera telefono a mia figlia e le dico che mi sono innamorata di un uomo che si chiama come lei», riferendosi naturalmente a me.
Reagisco invitandola, con parole semplici e chiare, a togliersi certi grilli dalla testa.

Quinta puntata
Per tre buone settimane Ela si tenne alla larga da me. Poi, un tardo pomeriggio di giugno, mi vide risalire dalla spiaggia e si avvicinò.
«Gabi, per favore, portami a fare la spesa. Gregorio è uscito e io non ho più niente».
«Non puoi aspettare che torni?».
«E se torna tardi, che cucino? Non ho più niente, niente. Solo un po’ di uova».
‘‘Una frittata ci esce’’, stavo per dirle, ma aveva senso indispettirla con una battuta strafottente?
«Va bene, dammi il tempo di vestirmi e andiamo».
Al supermercato comprò pane, cosce di pollo, un cartone di birra e una damigianetta di montepulciano.
«Piace a Gregorio», mi spiegò mettendo il vino nel carrello.
Alla cassa s’incontrò con una sua conoscente. Si scambiarono saluti e abbracci calorosi. Evidentemente non si vedevano da un pezzo. Era un’italiana. Carnagione chiara, occhi chiari, capelli scuri. Trentacinque, quarant’anni d’età. Non proprio brutta ma tutt’altro che piacente. La classica donna che nessun uomo si volta a guardare, nonostante faccia i salti mortali affinché il miracolo avvenga. Aveva comprato tre o quattro barattoli di birra, che stringeva nel braccio ripiegato. Uno le cadde e io glielo raccolsi.
In seguito Ela mi avrebbe detto che si chiamava Sara. Divorziata e con tre figli sulle spalle. Per un certo periodo avevano lavorato insieme in un ristorante di Vasto, benché Sara abitasse a San Leonardo. Il ristorante aveva chiuso i battenti e loro due erano rimaste a spasso.
‘‘Un ristorante?’’, mi ero chiesto. ‘‘Notturno?’’.
A colpirmi fu però una raccomandazione che l’italiana, quando di lì a breve si salutarono, rivolse alla rumena:
«E comportati bene».
«Sì, sì».
Ciò lasciava supporre che Ela fosse stata licenziata perché non si era comportata bene.
Caricammo gli acquisti nel portabagagli. Accanto al supermercato c’era un bar.
«Vogliamo prendere qualcosa al bar?», proposi.
Non rifiutò. Ci sedemmo a uno dei tavolinetti all’aperto, riparati da un tendone blu, e aspettammo che ci servissero. Venne la cameriera e per me ordinai una Coca Cola. Ela m’imitò.
Iniziammo a sorseggiare la bibita. Lei aveva anche acceso una Stuyvesant. Io, tra un sorsetto e l’altro, sgranocchiavo le patatine fritte.
«Giosuè mi ha fatto pulire tutta la casa. Tutta, tutta gliel’ho pulita. Ci ho messo tre giorni e mi ha dato solo quindici euro».
«Quindici, eh? Generoso», commentai.
«Quindici euro, per tre giorni di lavoro. Che ci compri con quindici euro? Niente».
«Sì, poco e niente, in effetti».
«Prima no, mi pagava bene, ma adesso... E poi è così vecchio... Così vecchio...».
«Be’, tu mi hai detto che gli piace bere. E tra alcol e cocaina», azzardai, «è difficile mantenersi giovani».
«Eh», fece lei, «tra alcol e cocaina...».
Oh cielo, mi aveva implicitamente informato che il Bullo di Casacalenda è un cocainomane. Faceva sniffare la polverina bianca pure a lei? Inevitabile, a quel punto, non domandarselo.
Mah, che squallore.
(5 – Continua)

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