giovedì 19 gennaio 2017

"Hanno ammazzato il Guercio", noir di Patrizia Morlacchi

Patrizia Morlacchi, l’autrice di ‘‘La tela di Santa’Agata’’, un avvincente giallo dalle garbate tonalità pastello, ci sorprende ora con un noir dai densi risvolti sociali e il pensiero, impossibile negarlo, corre subito a Leonardo Sciascia.
Il nuovo libro s’intitola ‘‘Hanno ammazzato il Guercio’’, incluso nella prestigiosa collana ‘‘Italia Noir’’ del gruppo editoriale ‘‘La Repubblica-L’Espresso’’, sarà in edicola dal 23 gennaio. Per saperne di più ascolteremo adesso la viva voce della scrittrice.


Allora, Patrizia, può dirci qualcosa del suo ultimo romanzo?

In “Hanno ammazzato il Guercio” compare di nuovo il Commissario del mio precedente romanzo e cioè Eraldo Sparvieri che, per una non meglio precisata incompatibilità ambientale, costretto a chiedere il trasferimento dalla località in Salento dove prestava servizio ad altro luogo, si ritrova in Molise, in una cittadina immaginaria che si chiama Corniola.
Sparvieri è molisano d’origine. I suoi genitori erano molisani e lui stesso è nato in Molise, ma si è trasferito a Roma da bambino. I suoi ritorni in regione erano così legati alle lunghe vacanze scolastiche dei mesi estivi quando tornava nel paesino d’origine a stare con i nonni. La sua visione di questa terra è stata, in conseguenza, fortemente influenzata da queste circostanze. Per lui il Molise è un mondo semplice, bonario, familiare e affettuoso.
Appena arrivato nella sede di Corniola, però, accade il fattaccio: il Commissario si imbatte nel cadavere di un “incaprettato”, una modalità di omicidio legata ad un mondo mafioso del tutto estraneo alla terra in cui avviene. Come mai?
La vicenda si dipana via via alla ricerca di una giustificazione per il tipo di esecuzione criminale, all’individuazione del movente e dell’assassino attraverso un’inchiesta che porta alla luce uno scandalo politico.
A causa di questo imprevisto sviluppo, Sparvieri si trova costretto a indagare nei rapporti sociali di Corniola e a ricomporre il “suo” Molise, una visione per certi versi deformata dall’infanzia, con la realtà dell’oggi che, nel trascorrere degli anni, ha modificato economicamente e sociologicamente questa terra.
Accanto a Spavieri sua moglie Vera, milanese che, nonostante il matrimonio, continua a vivere e a lavorare nella sua Milano in modo tale che la loro vita a due si frammenta in lunghe e frequenti pause senza, tuttavia, incrinare un rapporto ricco e intenso.


E adesso, se non siamo indiscreti, ce le sussurra due parole su di sé?

La fatica di Sparvieri, nel riadeguare l’immagine dei suoi ricordi giovanili con la realtà, si sovrappone, per certi versi, al processo conoscitivo che ho dovuto io stessa compiere quando sono venuta a vivere in questa Regione.
Io, infatti, sono lombarda – lombarda DOC - e sono venuta a vivere in Molise dopo essermi sposata con un molisano conosciuto in India, ormai più di trent’anni fa.
Non avevo conoscenza di questa terra prima di trasferirmi qui e nemmeno, in generale, avevo conoscenza del meridione d’Italia, se non per sporadiche gite turistiche di pochi giorni.
All’inizio di questa mia nuova e intensa esperienza di vita, ho colto soprattutto proprio gli aspetti più positivi di questo Sud e cioè la sua ospitalità generosa, la sua bonomia, la cortesia, la disponibilità umana e la tolleranza.
Doti di grande rilievo morale ed espresse in modo così spiccato che, messe a confronto con la freddezza nordica, la poca indulgenza verso il prossimo e lo spiccato senso del “resoconto” per quasi ogni relazione umana, in una visione quasi “ragionieristica” dell’esistenza (cosa me ne viene/cosa mi costa), mi facevano sentire in difficoltà con la mia “lombarditudine”, una parola che mi sono inventata per coniugare il senso lombardo della vita e insieme il senso di solitudine che la distingue, almeno di quella Lombardia che io ho lasciato oltre trent’anni fa e che è anch’essa distante e diversa dall’oggi.
E’ stato con lo scorrere del tempo che mi sono resa conto che, accanto alle sue indubitabili virtù, il Molise coltiva anche un’abitudine all’accettazione del destino che gli si impone, una scarsa raffigurazione del proprio futuro, una indolenza neghittosa a reagire che può essere considerata, nell’immobilismo che ne deriva, anche una sorta di complicato cinismo, di non facile decifrazione soprattutto dal punto di vista di certe virtù lombarde come sono un pragmatico razionalismo, l’inclinazione per la verità soppesata, un pessimismo operoso, una certa insofferenza per l’approssimazione e l’irresponsabilità.
Da qui, attraverso Sparvieri, cerco di comprendere e capire un mondo solo in apparenza semplice scrivendo una storia da cui – spero – possa trasparire l’amore che ho per il Molise che è, forse, la vera ragione d’essere del romanzo stesso.



Grazie, Patrizia Morlacchi. I lettori del suo ultimo romanzo sapranno di sicuro apprezzare la sua sensibilità, come donna, e l’abilità tecnica come scrittrice.