mercoledì 2 maggio 2018

Il Movimento delle stelle cadenti


Alle elezioni regionali in Molise e in Friuli Venezia Giulia il Movimento Cinque Stelle ha deluso, perdendo in meno di due mesi molti dei voti ottenuti alle politiche del quattro marzo.
Il motivo?
Semplice. Gli elettori molisani e friulani hanno punito i Cinque Stelle perché a Roma non sono stati capaci di formare un governo.
Il loro capo politico, Luigi Di Maio, dando troppo ascolto ai consigli del giornalista Marco Travaglio, ha infilato due vicoli ciechi.
Ha cercato prima di convincere il nuovo capo del centro-destra Matteo Salvini a fargli da stampella, purché lasciasse fuori Forza Italia, cioè uno dei partiti della coalizione guidata da Salvini stesso. Poi si è rivolto al Partito Democratico, nella speranza che l'ex segretario Matteo Renzi, dichiaratosi contrario sin dal cinque marzo a sostenere un governo pentastellato, non contasse più nulla, mentre invece è vero il contrario.
Luigi di Maio ha cioè acceso due forni e si è bruciato. Se ne deduce che è un pessimo panettiere.
Non pago delle tante scottature, si è rivolto infine di nuovo a Matteo Salvini. Stavolta per indurlo a chiedere, insieme a lui, un immediato ritorno al voto, pregando il presidente della repubblica di sciogliere le camere.
Una richiesta, data l'aria che tira, poco astuta.
Innanzitutto, il presidente non ha alcuna voglia di dargliela vinta. Almeno, non ora. E poi, dopo quanto successo in Molise e Friuli Venezia Giulia, come può illudersi l'onorevole Di Maio di raggranellare più voti di quelli ricevuti il quattro marzo?
In conclusione, le stelle per un po' hanno brillato. Adesso cominciano a cadere.

giovedì 5 aprile 2018

Il dilemma del Partito Democratico


Esserci o non esserci (al governo con i Cinque Stelle), questo è il problema.
Dal quattro marzo tale dubbio amletico tormenta il Partito Democratico.
L'ex segretario Matteo Renzi, cui va riconosciuto il non invidiabile merito di aver condotto i suoi alla sconfitta, e il neo-iscritto Carlo Calenda rispondono no. Altri esponenti, come Dario Franceschini, Andrea Orlando, Michele Emiliano e Walter Veltroni dicono sì.
In altre parole, il partito è diviso.
Una chiassosa pletora di intellettuali e giornalisti di parrocchia, quali Gianfranco Pasquino, Massimo Cacciari, Eugenio Scalfari, Marco Travaglio, Peter Gomez e Antonio Padellaro, intravedendo un'affinità elettiva tra Partito Democratico e Movimento Cinque Stelle, giacché molti ex elettori del primo il quattro marzo hanno votato il secondo, si battono per salire sul carro dei vincitori o, almeno, per fornire l'indispensabile stampella a un governo Cinque Stelle.
Ma il Partito Democratico è diviso. Ossia, molti dei suoi parlamentari appartengono alla corrente dell'ex segretario Matteo Renzi e sono ancora pronti a obbedire agli ordini da lui impartiti. E finché una tale condizione perdura il Partito Democratico non è in grado di proporsi ai Cinque Stelle come valido alleato di governo.
Diciamo la verità, la sconfitta ha un gusto davvero amaro.

mercoledì 28 marzo 2018

Le proposte economiche dei vincitori


Movimento Cinque Stelle e Lega hanno vinto le elezioni politiche del 4 marzo 2018 e non è improbabile che tocchi a loro formare il nuovo governo.
Se così fosse, quali concrete possibilità avranno di realizzare i loro programmi?
I Cinque Stelle, come sappiamo, hanno promesso di elargire il cosiddetto reddito di cittadinanza, in pratica un sussidio di settecentottanta euro da versare mensilmente ai disoccupati. I senza lavoro iscritti alle liste sono oggi in Italia circa due milioni e novecentomila. Per accontentare tutti sarebbero quindi necessari ventisette miliardi l'anno. Questo totale com'è ovvio cala se si tiene anche conto della condizione patrimoniale e redditutale dei disoccupati, che, qualora superi determinati livelli, ridurrebbe l'importo del beneficio da riscuotere. Comunque, una tale misura di politica economica avrebbe un impatto significativo sui consumi e, di riflesso, sugli investimenti. L'occupazione salirebbe.
La Lega vorrebbe invece introdurre un'aliquota lineare sull'imposta dei redditi, pari al quindici per cento. Il mancato introito tributario sarebbe per lo stato superiore a cinquanta miliardi, ma l'effetto sui consumi, sugli investimenti e sull'occupazione sarebbe davvero importante. Un autentico colpo d'ariete capace di invertire il ciclo economico. Non va infatti dimenticato che le imposte eccessivamente progressive inibiscono l'incentivo a investire, provocando effetti sociali opposti a quelli attesi.
Insomma, sia i Cinque Stelle sia la Lega propongono misure necessarie per contrastare la stagnazione nella quale languiamo. Se venissero attuate saremmo però immediatamente aggrediti dalla reazione isterica della commissione europea, istigata da Berlino, che ci rinfaccerebbe di gonfiare il debito pubblico e sforare il mitico baluardo del tre per cento nel rapporto deficit/pil. Ciò perché tagli e trasferimenti di spesa non saranno mai sufficienti a finanziare per intero i provvedimenti annunciati in campagna elettorale.
E allora?
Be', la risposta è semplice. Senza ricorrere a una moneta parallela (biglietti del tesoro, certificati di credito fiscale, minibot) né i Cinque Stelle né la Lega potrebbero mantenere quanto promesso. Se andranno al governo dovranno dunque vedersela con i padroni d'Europa, cioè i tedeschi.
Non sappiamo chi alzerà bandiera bianca. Ma se non saremo noi, vedremo i fuochi d'artificio.

giovedì 22 marzo 2018

Renzi sogna a occhi aperti


L'ex sindaco di Firenze, nonché ex presidente del consiglio dei ministri, nonché ex segretario del Partito Democratico, nonché aspirante grande statista in aspettativa, senatore Matteo Renzi, ama sognare a occhi aperti.
La batosta elettorale da lui incassata il 4 marzo 2018 gli ha fatto completamente perdere il senso della realtà. Vagheggia un futuro governo composto da Movimento Cinque Stelle e Lega che andrà secondo lui a schiantarsi quanto prima nel più tetro degli abissi e dalle cui ceneri risorgerà il Partito Democratico.
Ora, ammesso e non concesso che un tale governo nasca, evento al momento niente affatto scontato, chi e cosa assicura che avrà con assoluta certezza un nero futuro fallimentare? Certo, potrebbe accadere, ma se Cinque Stelle e Lega introdurranno una moneta complementare, come pare sia nelle loro intenzioni, realizzerebbero con successo i loro programmi.
Lo sconcerto di Macron e Merkel per l'esito del voto italiano già prefigura una simile possibilità, temuta dai tedeschi peggio della peste. In tal caso, infatti, per le politiche economiche procicliche imposte agli altri paesi dalla Germania, per sé tanto vantaggiose e per noi dannosissime, suonerebbe la campana a morto. E questo Frau Merkel non lo vuole.
Renzi perciò fa male a giocare il destino suo e del suo partito su un fallimento solo ipotetico, e dunque niente affatto sicuro, di un eventuale governo bicolore sorretto da Cinque Stelle e Lega. Per il PD sarebbe invece più prudente appoggiare i Cinque Stelle dall'esterno, evitando così che costoro si alleino con la Lega. In tal modo, qualora i Cinque Stelle governassero male, il PD scaricherebbe su di loro tutta la responsabilità, limitando i danni, mentre se al contrario il governo funzionasse a dovere e rilanciasse l'economia, ne condividerebbe i successi.
Ma Renzi, lo sappiamo, preferisce sognare a occhi aperti.

lunedì 19 marzo 2018

Cosa hanno chiesto gli elettori


Il 4 marzo 2018 gli elettori italiani si sono espressi in modo chiaro. Hanno premiato le forze sovraniste (Movimento Cinque Stelle, Lega, Fratelli d'Italia) e punito i partiti europeisti (Partito Democratico, Forza Italia, Liberi e Uguali).
Ciò non significa necessariamente che i sovranisti riusciranno a formare un governo. Né va esclusa l'eventualità che si torni in tempi più o meno stretti di nuovo al voto. Le incertezze sono dovute sia all'attuale legge elettorale proporzionale che alle forti divisioni esistenti tra i sovranisti.
In altre parole, non è detto che gli eletti riusciranno a soddisfare le richieste espresse dalla maggioranza degli elettori. Non nell'immediato, almeno.
La parabola degli europeisti è infatti discendente mentre quella dei sovranisti è in ascesa. Presto o tardi, magari dopo una nuova tornata elettorale, avremo perciò in Italia un governo a guida sovranista.
Dobbiamo rallegrarcene?
Sì, perché quel che i votanti esigono è tanto necessario quanto razionale. Desiderano semplicemente che le politiche economiche procicliche imposteci dall'Unione europea a trazione tedesca vengono sostituite da politiche di bilancio anticicliche che sostengano i consumi e gli investimenti, riducendo così la disoccupazione. Ed è appunto quello che i sovranisti, nei loro programmi elettorali, hanno promesso di realizzare.
Gli scettici ritengono che robuste misure anticicliche non siano attuabili. I mercati, o per meglio dire le banche francesi e tedesche, nonché la commissione europea riusciranno a impedircelo.
Tali critiche sarebbero fondate se mancasse lo strumento tecnico che consentirà di aggirare gli ostacoli.
Quale?
La moneta complementare.
Le proposte in campo (biglietti di stato, certificati di credito fiscale, minibot) non mancano e i sovranisti ne sono ben consapevoli. Grazie alla moneta complementare sarà possibile sganciarsi dall'euro senza formalmente uscirne attraverso una conversione, che avrebbe invece effetti letali.
Non resta dunque che avere un po' di pazienza e attendere il maturare degli eventi. Le catene che ci inchiodano alla crisi economica stanno forse per spezzarsi.