sabato 9 marzo 2013

Dacci oggi il nostro debito


Pochi di noi se ne saranno accorti, ma stiamo vivendo un’epoca straordinaria. In alcuni paesi d’Europa – i cosiddetti paesi cicala, per l’esattezza – si verifica un fenomeno tanto insolito quanto prodigioso, mai accaduto prima nella storia. I posteri, quando getteranno il loro sguardo beffardo ai nostri miseri anni, si sbellicheranno dalle risa.
Oh bella, direte voi, perché mai dovranno ridere se a noi non rimane che piangere.
Riderete, riderete pure voi, se mi concedete un breve minuto per svelare l’insolita novità che i nostri governanti, del tutto inconsapevoli e quindi senza colpa, sono riusciti a inventarsi per peggiorare le condizioni economiche del settore privato e, nello stesso tempo, aggravare la situazione finanziaria del settore pubblico. Quello, per intenderci, che dovrebbe essere risanato.
Il busillis riguarda il rapporto tra debito pubblico e tasse. Come diceva John Kenneth Galbraith, uno dei più brillanti economisti del XX secolo, il debito pubblico è, specie per i politicanti, un ottimo sostituto delle tasse. La ragione è evidente. Nei sistemi democratici i politicanti non vengono eletti a vita, ma a tempo. Alla scadenza del mandato si torna al voto e sono così costretti a competere di nuovo con altri candidati che desiderano essere eletti al loro posto.
Non appena eletto, ogni politicante è dunque per forza di cose immediatamente condannato a pensare alle prossime elezioni, specie se la sua fazione ha conquistato la maggioranza, cioè il potere di governo. Come con arguzia sottolineava Galbraith, la campagna elettorale inizia il giorno successivo a quello delle elezioni.
I politicanti, contrariamente a quanto affermano i soliti demagoghi dell’antipolitica, non sono affatto degli sprovveduti. La loro cultura socio-economica è anzi vasta e profonda e si compone di due elementi. Primo, nulla fa imbestialire di più gli elettori se non l’aumento delle tasse. Secondo, nulla fa più piacere agli elettori se non un aumento della spesa pubblica, guerre escluse. Chi governa agisce perciò di conseguenza.
Le crescenti richieste rivolte negli ultimi cento anni dai cittadini allo stato – soprattutto in materia di assistenza sanitaria e previdenza sociale – hanno determinato un incremento relativo del settore pubblico rispetto al settore privato (ricordo che un sistema economico è composto dai due settori insieme, non da uno solo, benché le fantasiose teorie economiche neoclassiche ipotizzassero un mondo abitato soltanto da produttori e consumatori e relegassero lo stato nell’inferno dantesco). Il valore dei servizi e dei trasferimenti erogati dallo stato ammonta oggigiono a circa la metà della ricchezza annualmente prodotta, mentre agli inizi del ’900 i bilanci pubblici non superavano il 10-15% del reddito nazionale, anni di guerra esclusi.
Il finanziamento della spesa pubblica ha attirato via via sempre più, nel corso del tempo, l’attenzione dei cittadini e dei governanti. I mezzi attraverso i quali vi si può far fronte sono tre: lo scoperto di tesoreria (volgarmente, stampare moneta), le imposte e il debito pubblico. Lo stampar moneta è sì poco costoso ma praticabile esclusivamente entro limiti ragionevoli, ossia ristretti. Se si esagera si riduce la moneta a carta straccia, come si verificò dopo la prima guerra mondiale nella repubblica di Weimar. Ecco perché tasse e debito l’hanno fatta da padroni.
Le tasse però agli elettori non piacciono, ragion per cui i governanti, per non pagare lo scotto in termini di voti, hanno sempre cercato di finanziare la crescente spesa pubblica gonfiando il debito. Ed è in questo preciso senso che Galbraith definiva il debito pubblico un sostituto delle tasse. Da un paio d’anni, però, nei paesi cicala – tra i quali svetta la repubblichina italiana – sta succedendo il contrario. Le tasse, cioè, sono diventate la stampella del debito pubblico. In altre parole, se vuoi più debito, devi aumentare le tasse. L’uno non sostituisce più le altre.
La qual cosa, tecnicamente parlando, è tanto patologica quanto paradossale. Insomma, da ridere.
Come siamo arrivati a questo assurdo? Ci si chiederà.
Be’, è successo perché i paesi cicala, adottando l’euro, hanno rinunciato alla propria sovranità monetaria e, contemporaneamente, non sono stati in grado d’immaginare le conseguenze. Il trattato che l’ha istituita vieta alla Banca centrale europea di finanziare gli stati con lo scoperto di tesoreria o di acquistare alle aste le obbligazioni pubbliche (può tutt’al più comprarle sul mercato secondario per sostenerne i corsi).
Privarsi della sovranità monetaria significa non poter stampar moneta. Il finanziamento della spesa lo si copre soltanto con le imposte e il debito pubblico, come è avvenuto per circa un lustro e mezzo senza eccessivi problemi. Purtroppo la fiducia dei creditori (i sottoscrittori dei titoli pubblici) nei confronti dei debitori (gli stati cicala) si è ridotta non appena s’è saputo che i governanti greci avevano edulcorato i dati di bilancio. E il giocattolo s’è sfasciato.
Per riacquistare la fiducia dei creditori e dimostrare d’essere solventi i debitori sono adesso costretti a torchiare i cittadini aumentando le imposte. Così operando rivolgono in pratica ai mercati mobiliari un messaggio che grosso modo suona:
«Finché io stato cicala posso torchiare il popolo, tu creditore dormi pure sonni tranquilli. Alla scadenza ti rimborserò il capitale e via via ti pagherò gli interessi salatissimi che pretendi».
Gli effetti di una tale simpatica strategia sono noti. Primo, si mette in ginocchio il settore privato (scendono consumi, risparmi, investimenti e occupazione). Secondo, peggiorano le condizioni della finanza pubblica (alla fine del 2011, quando il governo Monti s’insediò, il debito della repubblichina italiana sfiorava il 120% del Pil; oggi, passato poco più d’un anno, siamo arrivati al 127%). Un capolavoro da premiare con il Nobel.
E’ possibile uscirne? Ci si chiederà.
In linea puramente teorica le soluzioni esistono e sono due.
La prima consiste nel riscrivere il trattato di Maastricht consentendo alla Banca centrale europea di finanziare gli stati attraverso lo scoperto di tesoreria e acquistando le loro obbligazioni alle aste. Ciò, tuttavia, non avverrà mai, poiché i tedeschi temono che una siffatta revisione del trattato provocherebbe la svalutazione dell’euro e un’inflazione alla Weimar.
La seconda soluzione prevede che gli stati cicala si riapproprino della sovranità monetaria sganciandosi dall’euro. I governanti degli stati cicala sono però restii a intraprendere una tale strada, giacché temono la svalutazione delle nuove monete nazionali e un’inflazione alla Weimar.
In sostanza, la sindrome di Weimar, scherzando scherzando, ci sta riducendo alla fame. Consiglio, in mancanza di meglio, di pregare:
«Dacci oggi il nostro debito quotidiano. In nome dell’euro, amen».



4 commenti:

  1. Che uno Stato a moneta sovrana debba stare attento a non stampare troppa moneta appare ovvio. Ciò che appare diabolico, invece, è che lo Stato abbia rinunciato a stampare moneta delegando tale funzione al sistema bancario dal quale prende a prestito la moneta restituendola con gli interessi: in pratica soggiacendo ad un debito senza fine. Tale gioco, oggi, sembra andato in crisi poiché il parassita sopravvive solo se l'organismo rimane vivente, e l'Italia appare allo stremo...non vi è da stupirsi se l'UE farà di tutto per mantenerla viva (ovvero in grado di pagare!).

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    1. Ho fortissimi dubbi, caro Domenico, che quella che tu chiami l'UE, che in italiano corrente si traduce in Repubblica Federale Tedesca, abbia intenzione di mantenere in vita l'Europa mediterranea. I tedeschi non manifestano mai a nessuno le loro vere intenzioni, ma è dal 2010 che hanno deciso di cacciarci dall'euro e operano di conseguenza. Loro non usciranno mai dalla moneta unica, perché non vogliono apparire agli occhi del mondo come i distruttori dell'euro e dell'Unione Europea. Nelle prossime settimane tornerò sull'argomento, cercando si spiegare le ragioni tecniche che mi spingono a ritenere che l'eurozona è destinata a smembrarsi.

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  2. quello che qui non si dice è: la BCE paga imposte all'Italia per creare moneta? Perché non diamo la possibilità a tutti i cittadini di fare altrettanto senza pagare imposte sulla moneta stampata e sugli interessi sulla stessa percepiti?
    Che cosa ha in cambio l'Italia e gli italiani per l'assurdità enunciata?

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    1. La rinuncia alla sovranità monetaria, gentile Paolo, ha comportato per tutti dei vincoli precisi di cui soltanto i governanti tedeschi hanno tenuto conto. Nel 2002 in Germania al governo c'erano i socialisti, i quali hanno bloccato la crescita salariale, favorendo in tal modo i profitti, gli investimenti e la produttività. Gli altri paesi, credendo che la riduzione dei tassi d'interesse durasse in eterno, hanno sostenuto i consumi aumentando il debito pubblico. Scoppiata la crisi, i tedeschi ne hanno approfittato, imponendo alle cicale politiche economiche procicliche che hanno avuto come effetto quello di far affluire capitali in Germania. Riescono in tal modo a finanziare il loro debito pubblico a tassi d'interesse inferiori al tasso d'inflazione. Il che rappresenta il massimo cui un debitore possa aspirare. La Bce, guidata da Draghi, sta in realtà facendo quello che può per sostenere le cicale, acquistando sul mercato secondarie i loro titoli pubblici e riducendo il tasso di sconto per sostenere le banche e contrastare il restringimento del credito.

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