venerdì 30 maggio 2014

Ma sì, diamo a Cesare quel che è di Cesare

Nel vangelo di Luca si legge:
‘‘Si misero (i capi dei sacerdoti e gli scribi) a spiarlo e mandarono informatori, che si fingessero persone giuste, per coglierlo in fallo nel parlare e poi consegnarlo all’autorità e al potere del governatore. Costoro lo interrogarono: «Maestro, sappiamo che parli e insegni con rettitudine e non guardi in faccia a nessuno, ma insegni qual è la via di Dio in Verità. E’ lecito, o no, che noi paghiamo la tassa a Cesare?». Rendendosi conto della loro malizia, disse: «Mostratemi un denaro. Di chi porta l’immagine e l’iscrizione?». Risposero: «Di Cesare». Ed egli disse: «Rendete dunque quello che è di Cesare a Cesare e quello che è di Dio a Dio». Così non riuscirono a coglierlo in fallo nelle sue parole di fronte al popolo e, meravigliati della sua risposta, tacquero’’.

Premetto a scanso d’equivoci di non avere la benché minima intenzione di dedicarmi all’esegesi dei testi sacri. Mi manca la stoffa. Le mie vaste e profonde incompetenze – avete capito bene, ho detto ‘‘incompetenze’’, non mi sono sbagliato – abbracciano ogni campo. Non credo però di commettere un peccato mortale se confesso di percepire, nell’affermazione di Gesù, un’ironica, e dunque rassegnata, sfiducia nel potere politico.
Nell’udire l’invito ‘‘date a Cesare quel che è di Cesare’’, rivolto alle illustri personalità religiose che desideravano rifilargli un tiro mancino, mi sembra infatti di ascoltare pure un implicito: ‘‘Riportate questa robaccia a chi l’ha coniata’’. Insomma, per Gesù la politica e i politicanti andavano accettati con la stessa rassegnazione con la quale dobbiamo subire la grandine e le zanzare, se ci va bene, o le epidemie e i terremoti in tutti gli altri casi.
Da allora – e per la miseria sono passati venti secoli – nulla è cambiato, a me pare.

La storia è nota e non serve mettersi qui a ripetarla nei dettagli. Le linee generali bastano e avanzano.
Già nel quarto secolo avanti Cristo, come m’insegnava il mio professore di Storia delle dottrine politiche, i filosofi della Grecia antica avevano individuato le forme di governo possibili: monarchia, aristocrazia e democrazia, corrompibili in tirannia, oligarchia, demagogia. Da quel dì nient’altro di nuovo è apparso sotto il sole, se non forse l’anarchia, le cui formulazioni teoriche non hanno però trovato finora sbocchi concreti.
Nell’evo contemporaneo abbiamo poi assistito a una cocente disillusione. Per effetto dell’illuminismo e della rivoluzione francese si è diffusa, prima tra gli intellettuali e poi tra le masse, l’idea che la politica potesse diventare un fattore di progresso e incanalare l’umanità verso un mirabolante eden sociale e materiale.
Già gli esiti della rivoluzione francese avrebbero dovuto mettere in guardia da entusiasmi eccessivi per i sogni messianici di filosofi e rivoluzionari. A furia di liberté, fraternité, egalité la rivoluzione francese è finita con una dittatura militare, ben presto evolutasi in monarchia assoluta a vantaggio di parenti e compari, sconquassando con le guerre l’intera Europa. Le rivoluzione successive, predicate che fossero da filosofi barbuti o da caporali romagnoli e austriaci, hanno addirittura intensificato i crimini di stato a livello industriale. Piangeremo le loro vittime per l’eternità.
Ciò che inoltre è accaduto negli ultimissimi anni in taluni paesi che hanno adottato l’euro lascia davvero interdetti, gettandoci nel più tetro sconforto. I governi di quei paesi, tutti retti da sistemi democratici, hanno deliberatamente adottato politiche economiche il cui unico effetto è stato quello di peggiorare le condizioni di vita di milioni di cittadini. Persino le democrazie meritano dunque la nostra estrema diffidenza.
Le lezioni impartiteci dall’esperienza vicina e lontana sono perciò chiarissime. Il massimo che ci si può aspettare dalle autorità politiche è la tutela dei diritti e buona amministrazione, se ci riescono. Ma affidare ai poteri pubblici obiettivi più ambiziosi si rivela sempre uno sbaglio. La palingenesi non è merce che Cesare sarà mai in grado di vendere.



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