venerdì 23 maggio 2014

La terra e il sangue

Un giorno del settembre 1956, in un paesino dei monti Iblei, nella Sicilia sud orientale, un adolescente accompagna a una fiera il padre agricoltore per vendere due puledri e due muli. In quell’occasione il giovane conoscerà un uomo che ha superato da un pezzo i settant’anni ma mantiene tutt’ora intatte l’autorevolezza e la personalità di chi nel corso della vita ha saputo conquistare la stima dei giusti e il rancore dei marci.
Quel signore dal fisico e dal portamento non comuni era un sensale e si chiamava Gaetano Sulari, don Tanu. L’adolescente era invece Corrado Sebastiano Magro, ex allievo di seminario tornato a faticare sui campi coltivati a mezzadria dalla sua famiglia.
Tra l’anziano signore e il giovane ex seminarista s’instaura un legame davvero singolare. L’anziano comincia a raccontare al giovane le drammatiche e avventurose vicende che hanno marchiato a fuoco la sua esistenza, ricordi via via trascritti dal ragazzo su vari quaderni. Mezzo secolo più tardi dalle pagine ormai ingiallite di quei quaderni Corrado Magro ricaverà due romanzi, il secondo continuazione del primo: ‘‘All’ombra degli aranci’’ e ‘‘Lunedì di Pasqua’’.
In ‘‘All’ombra degli aranci’’ la narrazione si dipana a partire dagli ultimissimi anni dell’Ottocento, quando Tanu non sfiora ancora i vent’anni, e prosegue sino agli sgoccioli del secondo decennio del nuovo secolo. Tanu sta mietendo con il falcetto il grano assieme ad altri mietitori disposti in lunga fila, sudando dall’alba al tramonto sotto l’impietoso sole dell’isola. E’ orfano di padre, un abile mastro di muri a secco ucciso dal calcio di una mula, e deve lavorare per aiutare la madre e la sorellina.
Tanu è innamorato di Milina – vezzeggiativo di Carmela – una ragazzina attraente e sveglia che dà ausilio ai mietitori portando loro da bere e svolgendo altre incombenze per rendere più spedito il loro lavoro. In sella al suo cavallo arriva il barone padrone del fondo – il feuro, dicevano i siciliani, il feudo – ove si svolge la mietitura. Il feudatario adocchia la ragazza e decide su due piedi di utilizzarla per i propri sollazzi. Getta una moneta al padre di lei e ordina a Milina di raggiungere l’indomani la sua dimora di campagna, accampando come scusa la gravidanza della signora baronessa, circostanza che renderebbe indispensabile l’aggiunta di una nuova cameriera al suo servizio.
Ad accompagnare in groppa a un’asina Milina nella dimora del barone, su perfida volontà di questi, sarà proprio Tanu. Per i due giovani, attratti da sentimenti reciproci, quel viaggio segnerà lo spartiacque tra i desideri agognati, che presto dovranno per forza di cose lasciarsi alle spalle, e la sottomissione a un destino ingiusto, perché Milina diventerà in breve la favorita del barone e nell’animo di Tanu la ferita provocata dalla perdita dell’amata non si rimarginerà mai.
Un episodio all’apparenza trascurabile si verificherà durante quel viaggio. Passando davanti a una masseria incontrano una donna con un pupo in braccio, al quale Milina non negherà una carezzera. Quel bambino è Paolo Spalla, figlio di don Peppino, un possidente terriero. Le vite del padre e del figlio s’intrecceranno di lì a non molto con quella di Tanu.
Don Peppino incaricherà Tanu di erigergli un muro a secco e, presolo a ben volere, lo avvierà con un sostegno concreto alla carriera di intermediario nella compravendita di bestiame. Don Peppino Spalla guadagnerà perciò nell’animo di Tanu uno spazio speciale, quello di un secondo padre, e il piccolo Paolo sarà perciò un suo fratellino.
Allo scoppio della grande guerra Tanu viene richiamato e inviato al fronte in una batteria d’artiglieria da montagna, mentre Paolo, cresciuto e ormai orfano della madre, morta di tisi, si era già imbarcato per l’America. In guerra Tanu verrà ferito e rimarrà a lungo degente, sospeso tra la vita e la morte, in un ospedale militare, amorevolmente curato da un’aristocratica crocerossina. Tra infermiera e artigliere sboccia la passione, che di comune accordo sfocerà però in un addio definitivo.
Tornato in Sicilia Tanu riprende i suoi affari. La parabola di don Peppino Spalla comincia intanto a declinare. Dall’America non riceve più le lettere di Paolo, e ciò suscita in lui un profondo senso d’abbandono. Quando si ammala di polmonite Tanu cerca in tutti i modi di assisterlo, almeno finché non viene aggredito da due manigoldi che riducono il sensale quasi in fin di vita, impedendogli di prendersi cura dell’amico sofferente. Nello stesso tempo trova la morte anche un impiegato delle poste in pensione, il quale sapeva che Paolo Spalla in America aveva cambiato indirizzo e aveva dato quello nuovo a Tanu.
Don Peppino, prima di spirare, donerà con atto notarile i suoi beni al cognato prete, che già da anni si occupava di amministrarli. Al rientro dall’America Paolo appura pertanto che l’eredità paterna è finita nelle mani dello zio sacerdote. La tragedia, a quel punto, si compie e a nulla varranno i tentativi di don Tanu Sulari di arrestarne il corso. Il sangue verrà versato sulla terra.

Alla potenza della trama, sorretta da un linguaggio ammaliante, si aggiungono nel romanzo di Corrado Magro tre elementi che ne accrescono la suggestione. Anzitutto, il libro dipinge le atmosfere e le condizioni sociali e materiali del mondo rurale del sud Italia con la stessa efficacia che si ritrova in ‘‘Fontamara’’ e ‘‘Vino e pane’’ di Ignazio Silone. In secondo luogo, ci descrive un clero cattolico del tutto scristianizzato, come in ‘‘I viceré’’ di Federico De Roberlo, ‘‘Una storia semplice’’ di Leonardo Sciascia, ‘‘La mossa del cavallo’’ di Andrea Camilleri’’. Infine, ‘‘All’ombra degli aranci’’ determina nel lettore una forte immedesimazione negli eroi, don Tanu Sulari e Paolo Spalla.
Leggerlo, ne ho assoluta certezza, sarà per voi un piacere.



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