lunedì 30 settembre 2019

La questione europea


L'Unione europea, a far tempo dal varo della moneta unica, è diventata, per non poche nazioni che ne fanno parte, il problema politico fondamentale. La questione è esplosa con drammaticità nel 2010, quando venne imposto alla Grecia un martirio allucinante, e si è poi aggravata di anno in anno. Da allora, solo individui mentalmente ottenebrati riescono a ignorarne le cause e gli effetti.
Eppure, per comprendere a pieno la situazione non servono indagini complesse e barbose. Basta sapere quello che l'Unione europea è. Ossia, una confederazioni di stati.
L'Unione europea è già – ripeto, è già – una confederazione, cui gli stati membri hanno ceduto talune potestà. Le principali delle quali sono il batter moneta e, grazie al patto di stabilità e al successivo patto di bilancio (fiscal compact, per chi ama esprimersi nell'idioma di Al Capone), porre vincoli ai bilanci statali.
In siffatta confederazione la sovranità non appartiene al popolo, bensì al consiglio europeo, il consesso cioè dei capi di governo degli stati aderenti. Vi è sì un cosiddetto parlamento, che è però un semplice simulacro, non essendo infatti né un organo legislativo, né può tanto meno esercitare un reale controllo sull'organo esecutivo, vale a dire la commissione. Il potere legislativo ed esecutivo appartengono al consiglio, che li esercita appunto tramite la commissione, la quale non è politicamente responsabile nei confronti del parlamento (in altre parole, il parlamento non ne può votare la sfiducia).
Una tale configurazione dei poteri rende la guida dell'Unione europea del tutto simile a quella di un'alleanza militare, quale ad esempio la Nato. In teoria, sia nella Nato che nell'Unione europea ogni stato membro vale per uno. Ma in realtà non è così. Nella Nato la volontà dello stato più potente, gli Stati Uniti d'America, predomina sugli altri. E la medesima cosa accade nell'Unione europea, dove la Repubblica Federale Tedesca, stato demograficamente ed economicamente maggiore, pretende e ottiene la tutela dei propri interessi anche e soprattutto a danno degli altri stati membri. Specie ai danni di quei paesi, primo l'Italia, il cui apparato produttivo può rivaleggiare sui mercati contro il suo.
A questo punto è istintivo chiedersi se sia possibile raddrizzare una situazione tanto squilibrata e foriera di contrasti. Se il parlamento europeo divenisse un organo legislativo e la commissione fosse politicamente responsabile nei suoi riguardi la situazione migliorerebbe?
Purtroppo no, se non venisse contestualmente affidato al parlamento anche il potere di modificare i trattati esistenti, inclusi lo statuto della Bce, il patto di stabilità e il patto di bilancio. Ma la Germania non consentirà mai che il parlamento acquisisca una tale prerogativa, la quale rimarrebbe materia d'esclusiva competenza del consiglio.
Un'altra esile speranza ci verrebbe offerta da un ipotetico e auspicabile incrinarsi dell'asse Parigi Berlino. Ciò dipende però soltanto dalle scelte del corpo elettorale francese. Finora i francesi hanno eletto presidenti, quali Sarkozy e Macron, che si sono prodigati, da bravi lacché, per servire e onorare il padrone tedesco, ricevendo in cambio la licenza di non applicare le rigide regole di bilancio, il che è pur qualcosa.
Poiché dunque la riforma dei trattati è al di là di ogni più roseo orizzonte, per sfuggire al cappio al quale i tedeschi sono riusciti ad appenderci non rimane che una e una sola soluzione. Vale a dire, introdurre una moneta complementare.
Solamente grazie a una moneta complementare come i certificati di credito fiscale sarà possibile a) rispettare i vincoli di bilancio, b) mettere in sicurezza il debito pubblico dagli attacchi speculativi, magari riducendolo, e c) attuare un programma di lavori pubblici e un abbassamento della pressione fiscale per accrescere l'occupazione e invertire il ciclo economico negativo provocato dal governo presieduto dal vetusto Monti Mario, il podestà forestiero.
O si farà così o avremo stagnazione e alta disoccupazione perpetue. Alternative non esistono.

martedì 3 settembre 2019

Il lato debole dei minibot


Sarebbe forse il caso che noi italiani si cominci a pensare sul serio al futuro. Dobbiamo in buona sostanza chiederci se desideriamo o meno un avvenire migliore. Vogliamo o no superare la dolorosa situazione economica nella quale siamo impantanati? O preferiamo invece che il tasso di disoccupazione si mantenga in eterno al di sopra del dieci per cento?
A noi l'ardua risposta, non ai posteri.
La stagnazione di cui siamo vittime è lo strascico di politiche economiche dannose (ve lo ricordate il vetusto Monti Mario, alias il podestà forestiero?) imposteci dalla Germania per colpire il nostro sistema produttivo e avvantaggiare così il proprio. Sotto questo aspetto, il successo dei tedeschi è stato mirabolante. Dal 2008 a oggi la produzione manifatturiera italiana si è contratta di un quarto.
E' possibile uscirne? Sarebbe cioè davvero plausibile invertire il ciclo?
Sì, aumentando la spesa per investimenti e riducendo la pressione fiscale sulle imprese.
Facile a dirsi, obietterete voi, ma la spaventosa carenza d'investimenti privati e gli assurdi vincoli ai bilanci pubblici pretesi dai tedeschi, ossia dai padroni dell'Unione europea, rendono improbabile sia la riduzione della pressione fiscale sia l'avvio di un vigoroso programma d'investimenti pubblici che sopperisca alla mancanza di quelli privati.
Verità sacrosante. I trattati europei rappresentano un muro edificato per volontà dei tedeschi contro il quale ci si schianterà senza meno.
E allora?
Be', la soluzione è una e una soltanto. Bisogna introdurre una moneta complementare che ci consenta di aggirare o scavalcare il muro di cui sopra.
Una proposta in tal senso, come saprete, l'ha diffusa il deputato leghista Claudio Borghi. I minibot, appunto. Si tratta, in teoria, di un'idea impeccabile. In pratica, però, susciterebbe contraccolpi esiziali.
E ora vi spiego perché.
I minibot, come indica la loro denominazione, sarebbero pur sempre titoli del debito pubblico e, in quanto tali, andrebbero iscritti al passivo del bilancio dello stato. Una voce negativa tanto per dire, d'accordo, poiché sarebbero irredimibili e non frutterebbero interessi. Ma è appunto qui che sorgerebbero le dolenti note, in quanto uno dei modi con i quali si definisce la moneta a corso forzoso suona proprio così. La moneta è un titolo irredimibile che non frutta interessi.
In parole povere, i minibot sono assimilabili a banconote. E, com'è noto, i trattati europei vietano agli stati dell'eurozona di stamparne. Se li introducessimo, la Germania e i suoi accoliti ricorrerebbero immediatamente alla corte di giustizia dell'Unione. Non serve certo troppa fantasia per immaginare quale sarebbe la decisione della corte. Ci troveremmo, da capo, al di qua del succitato muro e avremmo, in più, salate sanzioni da pagare.

Per fortuna, un'alternativa ai minibot esiste. Alludo ai certificati di credito fiscale. Sarebbero moneta scritturale (o elettronica, come si dice adesso) e andrebbero iscritti all'attivo del bilancio statale, riducendo il deficit per un importo pari alla quantità anno per anno emessa. Nessuna corte di giustizia potrebbe eccepire alcunché sulla loro natura giuridicamente immune alle norme comunitarie. Ai tedeschi, se li introducessimo, non rimarrebbe che affogare la propria amarezza in una colossale sbronza di birra.