L'Unione
europea, a far tempo dal varo della moneta unica, è diventata,
per non poche nazioni che ne fanno parte, il problema politico
fondamentale. La questione è esplosa con drammaticità
nel 2010, quando venne imposto alla Grecia un martirio allucinante, e
si è poi aggravata di anno in anno. Da allora, solo individui
mentalmente ottenebrati riescono a ignorarne le cause e gli effetti.
Eppure,
per comprendere a pieno la situazione non servono indagini complesse
e barbose. Basta sapere quello che l'Unione europea è. Ossia,
una confederazioni di stati.
L'Unione
europea è già – ripeto, è già – una
confederazione, cui gli stati membri hanno ceduto talune potestà.
Le principali delle quali sono il batter moneta e, grazie al patto di
stabilità e al successivo patto di bilancio (fiscal compact,
per chi ama esprimersi nell'idioma di Al Capone), porre vincoli ai
bilanci statali.
In
siffatta confederazione la sovranità non appartiene al popolo,
bensì al consiglio europeo, il consesso cioè dei capi
di governo degli stati aderenti. Vi è sì un cosiddetto
parlamento, che è però un semplice simulacro, non
essendo infatti né un organo legislativo, né può tanto meno esercitare un reale controllo sull'organo esecutivo, vale a dire la
commissione. Il potere legislativo ed esecutivo appartengono al
consiglio, che li esercita appunto tramite la commissione, la quale
non è politicamente responsabile nei confronti del parlamento
(in altre parole, il parlamento non ne può votare la
sfiducia).
Una
tale configurazione dei poteri rende la guida dell'Unione europea del
tutto simile a quella di un'alleanza militare, quale ad esempio la
Nato. In teoria, sia nella Nato che nell'Unione europea ogni stato
membro vale per uno. Ma in realtà non è così.
Nella Nato la volontà dello stato più potente, gli
Stati Uniti d'America, predomina sugli altri. E la medesima cosa
accade nell'Unione europea, dove la Repubblica Federale Tedesca,
stato demograficamente ed economicamente maggiore, pretende e ottiene
la tutela dei propri interessi anche e soprattutto a danno degli
altri stati membri. Specie ai danni di quei paesi, primo l'Italia, il
cui apparato produttivo può rivaleggiare sui mercati contro il
suo.
A
questo punto è istintivo chiedersi se sia possibile
raddrizzare una situazione tanto squilibrata e foriera di contrasti.
Se il parlamento europeo divenisse un organo legislativo e la
commissione fosse politicamente responsabile nei suoi riguardi la
situazione migliorerebbe?
Purtroppo
no, se non venisse contestualmente affidato al parlamento anche il
potere di modificare i trattati esistenti, inclusi lo statuto della
Bce, il patto di stabilità e il patto di bilancio. Ma la
Germania non consentirà mai che il parlamento acquisisca una
tale prerogativa, la quale rimarrebbe materia d'esclusiva competenza
del consiglio.
Un'altra
esile speranza ci verrebbe offerta da un ipotetico e auspicabile
incrinarsi dell'asse Parigi Berlino. Ciò dipende però
soltanto dalle scelte del corpo elettorale francese. Finora i
francesi hanno eletto presidenti, quali Sarkozy e Macron, che si sono
prodigati, da bravi lacché, per servire e onorare il padrone
tedesco, ricevendo in cambio la licenza di non applicare le rigide
regole di bilancio, il che è pur qualcosa.
Poiché
dunque la riforma dei trattati è al di là di ogni più
roseo orizzonte, per sfuggire al cappio al quale i tedeschi sono
riusciti ad appenderci non rimane che una e una sola soluzione. Vale
a dire, introdurre una moneta complementare.
Solamente
grazie a una moneta complementare come i certificati di credito
fiscale sarà possibile a) rispettare i vincoli di bilancio, b)
mettere in sicurezza il debito pubblico dagli attacchi speculativi,
magari riducendolo, e c) attuare un programma di lavori pubblici e un
abbassamento della pressione fiscale per accrescere l'occupazione e
invertire il ciclo economico negativo provocato dal governo
presieduto dal vetusto Monti Mario, il podestà forestiero.
O
si farà così o avremo stagnazione e alta disoccupazione
perpetue. Alternative non esistono.
Nessun commento:
Posta un commento