venerdì 20 dicembre 2013

Feste medievali e cuori d'oggidì

(In collaborazione con Gisella Gerosa)

1. Voce mia
Quando Gisella Gerosa, la scrittrice di Sesto San Giovanni, mi disse che la sua famiglia gestisce una piccola attività itinerante, consistente nella vendita di liquoristica storica nel corso di rievocazioni in costume, nella mia testolina spuntò una foresta di punti interrogativi mischiati a punti esclamativi.
Non potei pertanto trattenermi dal chiederle urgenti delucidazioni. Lo feci con quella delicatezza da istrice che mi rende odioso a tutti i vivi, nonché pure a parecchi morti.
«Cosa diamine è la ‘‘liquoristica storica’’?», sparai con dolcezza.
E con dolcezza ancor maggiore aggiunsi:
«Mi chiarisca per favore i concetti di ‘‘attività itinerante’’ e ‘‘rievocazione in costume’’ e, soprattutto, la misteriosa relazione che intercorre tra le due. Detto in tutta onestà, suppongo si tratti di ‘‘pagliacciate in costume’’, tipo la perdonanza che fanno a L’Aquila, la mia città. (La prego, mi risponda di sì e mi godo una bella risata. Le pagliacciate in costume mi fanno morire dal ridere. Rappresentano il più gustoso malcostume italico invalso nel tardo XX secolo)».
La superbia, diceva mio nonno, partì a cavallo e tornò a piedi. A me è andata peggio. Sono tornato a piedi e zoppicando. Leggete qui sotto la risposta di Gisella Gerosa e scoprirete perché il destriero mi ha disarcionato.

2. Voce di Gisella Gerosa
La “liquoristica storica” è il modo più breve che abbiamo trovato per definire alcune bevande artigianali tipiche dei tempi che furono, dall’idromele, la cui nascita segue di poco l’apparizione dell’uomo, per arrivare ai “rosoli della nonna”, che imperversavano nei salotti fino ai primi del novecento. In particolare, però, ci riferiamo al periodo del medioevo.
Attività itinerante” significa, più brutalmente, commercio di genere ambulante, iniziato circa otto anni fa. Vendiamo le nostre bevande (tutte di qualità molto alta), prevalentemente in occasione di eventi rievocativi d’impronta storica, in genere presso castelli o in contrade medievali.
Sì, credo che si tratti delle ‘‘pagliacciate’’ cui lei fa riferimento, che peraltro attirano un pubblico quanto mai interessante per la sua eterogeneità, trovandovi sia colti appassionati, sia fanatici, sia nostalgici dei bei tempi delle mordacchie e delle gogne, sia curiosi, sia intenditori di bevande di qualità (e costoro ovviamente sono i nostri clienti prediletti); non solo, ma anche gente che ama davvero, intendendosene o no, questo genere di rappresentazione di un tempo che non conoscerà mai. Personalmente considero le rievocazioni medievali uno spettacolo insolito, affascinante e non di rado emozionante (per i “dietro le quinte”, soprattutto): diciamo un teatro-documentario tra la storia popolare e l’arte di strada, che a tanta gente, e soprattutto ai ragazzi, apre uno squarcio su un mondo al quale non avranno altro modo di approcciarsi “dal vivo”. Farà anche ridere qualcuno, eppure è tutt’altro che comico se consideriamo la passione che muove chi ha scelto questa vita e la fatica fisica che comporta. Pensiamo che partecipano figuranti che passano notti in tenda e giorni in corazza, musici con arpe celtiche, liuti, salteri che vengono da molto lontano, artigiani degli antichi mestieri: spadai, che forgiano le loro spade al fuoco davanti a un pubblico incantato, coniatori di monete, tintori con i loro enormi pentoloni e i mantici, falconieri, che mostrano gli splendidi rapaci a bambini che non sanno come sia fatto un pollo vivo. Per noi significa montare ogni volta banchi e tende su modello di quelli medievali, allestire e disallestire, muovere merce pesante, restare in piedi dall’alba alla notte a volte inoltrata, con addosso i costumi (non carnevaleschi, ma cuciti a mano seguendo le figure degli affreschi del tempo), leggeri se fa freddo, e pesanti d’estate, essendo fatti di fibre naturali che non proteggono più di tanto. Tutto un modo di “pazzi”, il nostro, di gente in qualche modo alternativa che preferisce immergersi in un ritorno al passato per il poco che si può, tra torce e fascine, escrementi di cavallo e armature, e con l’anacronismo obbligatorio, per noi “mercatanti”, del registratore di cassa (le fiamme gialle in borghese si mescolano tra la folla).
Diciamo che in qualche modo tutto questo è avventura, o quel poco di avventura, e quel molto di rischio, che viviamo illudendoci di essere lontani dal mondo in cui la maggior parte della gente è costretta ogni giorno.
E devo aggiungere che chi lavora in questi contesti appare “felice”: è fuori dal gregge, è un diverso, non indossa il costume-divisa fatto di giacca e cravatta degli altri, il suo modo di essere è solo e soltanto suo. Adoro questo ambiente, questa gente, questo lavoro, anche se non so se, e quanto, potrà durare.



2 commenti:

  1. Ho seguito i passi che hanno accompagnato lo sviluppo di quest'attività che oltre a risorse fisiche, impegna risorse immateriali che non trovano compenso alcuno. Bisogna essere innamorati, romantici e poeti, per non buttare via la spugna quando l'impegno e il sacrificio non trova risposta o compenso, spesso confrontato con una burocrazia fiscale tutta italiana che alla presunzione di rettitudine sostiuisce a priori quella del furbetto.

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