Oggi chiederò al lettore un piccolo sforzo di fantasia.
Immaginiamo, per qualche attimo, di tornare indietro nel tempo.
Anno? 1945. Mese? Aprile. Giorno? Ventisei.
Ecco, sì, figuriamoci sia la mattina del 26 aprile 1945 e noi ci si svegli e ci si guardi intorno. La bufera è appena passata. Il giorno prima le truppe angloamericane hanno occupato anche l’alta Italia, scacciando i tedeschi al di là delle Alpi, e abbattuto la repubblica sociale.
Dovunque ci si giri i nostri occhi scorgono soltanto distruzioni e morti. Certo, badogliani e comunisti esultano per aver vinto la guerra civile contro la repubblica sociale e l’invasore nazista. Il loro sano orgoglio, sia chiaro, merita benevolenza. Ciò malgrado, il paese soffre la fame, piange per i lutti, patisce l’umiliazione di vedere il suolo nazionale calpestato dalle armate straniere.
Di chi la colpa?
Di uno solo. Del puzzone, come lo chiamano i romani. Ossia, Benito da Predappio, il famigerato smargiasso romagnolo. Sulle sue spalle – sue e di nessun altro – ricade l’intera responsabilità del disastro, giacché il 10 giugno 1940 è stato lui – lui e nessun altro – a ordinare al popolo italiano di correre alle armi.
Non c’è del resto da stupirsi se il colpevole, politicamente parlando, sia uno soltanto. E’ nell’essenza stessa del totalitarismo concentrare le decisioni definitive nelle mani del duce, o del führer, o del caudillo, o del grande timoniere, o del piccolo padre.
E’ pur vero che il dittatore ha goduto, forse addirittura per lunghi momenti, del sostegno morale di gran parte del popolo, ma in nessuna scelta il popolo gli è stato complice. Le masse avranno magari accolto da principio con entusiasmo le storiche e fatidiche decisioni del capoccia, perché i dittatori esercitano una perversa e potente malia sulla gente, ma di sicuro non hanno potuto esprimere alcuna libera opinione. Al popolo, nei sistemi totalitari, si offre sempre e di continuo l’opportunità di osannare il capo. Osannare e basta.
Torniamo ora ai nostri giorni e gettiamo un’occhiata qui e là. La situazione, rispetto all’aprile 1945, appare molto diversa. Vi è stata la ricostruzione e abbiamo persino avuto il boom economico, al punto che la nostra è diventata una società opulenta. Siamo inoltre amministrati da un regime democratico. Il potere di governo lo si conquista, per un periodo determinato, attraverso la competizione elettorale e noi cittadini abbiamo piena libertà d’espressione e il nostro voto è libero e segreto.
Eppure...
Già, eppure motivi d’insoddisfazione non mancano. L’apparato politico burocratico ha un costo esorbitante, in termini di pressione fiscale, e eroga servizi molto spesso scadenti. Un paragone tra il modo in cui vengono amministrati i popoli del nord Europa e come siamo mal amministrati noi ci fa arrossire. Siamo persino privi di un efficiente ordinamento giudiziario, tanto che non si riesce in alcuna maniera a sradicare le molteplici e prepotenti organizzazioni criminali.
Di chi la colpa?
«Di Tizio», dirà qualcuno di voi, facendo il nome di un politicante.
«Di Caio», qualcun altro strillerà, indicando un politicante di colore diverso.
«Di Sempronio», grideranno altri ancora, incolpando un terzo politicante.
Tutte risposte degne di considerazione e magari pregne di validi motivi. Riguardano però responsabilità individuali e non spiegano il pessimo funzionamento della macchina pubblica.
«E’ colpa della casta», parecchi allora sbotteranno.
Quest’ultima sembra già una risposta più equa. Difatti non risparmia nessuno. Vi è però un piccolo particolare che non possiamo tacere.
Chi elegge la casta?
Be’, che è ’sto silenzio?
Non mi avete capito? Volete che vi ripeta la domanda?
«Noi, la eleggiamo noi».
Ecco, bravi, la questione sta tutta qui. Ogni singolo membro della casta viene votato da noi. Da noi e da nessun altro. Si dà infatti il caso che la democrazia è basata sul principio di responsabilità. Cioè, chi rompe paga e i cocci sono i suoi.
In un sistema parlamentare come il nostro il governo è responsabile verso il parlamento, che vota per il governo la fiducia o la sfiducia, e il parlamento è responsabile nei confronti del corpo elettorale. Ogni qual volta la legislatura volge al termine, i cittadini con il proprio voto possono o premiare, confermandola, o punire, sostituendola con un altra, la maggioranza che li ha governati.
In altre parole, è il popolo che decide volta a volta chi deve comandare. La responsabilità della scelta ricade quindi sulle spalle di tutti. In democrazia, di conseguenza, non ha alcun senso affermare: «Piove, governo ladro». La notazione giusta sarebbe: «Piove, corpo elettorale ladro».
Se mandiamo pertanto al potere individui con la testa ingombra di idee bacate, i quali considerano lo stato un mero strumento di potere anziché una struttura di servizio, non ci rimane che ringraziare noi stessi.
Perché?
Perché i puzzoni, alla fin fine, siamo noi. Ergo, la colpa è tutta nostra.
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