giovedì 20 giugno 2013

Letteratura e verità

I romanzi, se ben scritti, si lasciano leggere d’un fiato. Alcuni, addirittura, oltre a essere godibilissimi sono anche indispensabili. Brilla, tra questi, ‘‘I viceré’’ di Federico De Roberto.
Come è possibile, mi si chiederà, che un libro pubblicato nel 1894, e per giunta piuttosto voluminoso, si lasci leggere d’un fiato?
E’ possibilissimo, perché De Roberto si esprimeva con prosa scorrevole e moderna e, soprattutto, sapeva scrivere i dialoghi, i quali da sempre, come sappiamo, sono l’osso duro e non masticabile dei narratori italiani.
A queste si aggiunge un’altra qualità assolutamente originale. E cioè, la psicologia dei suoi personaggi non è affatto monocorde, lineare o piatta. Tutt’altro. I singoli caratteri vengono sì mostrati in modo ben definito, ma l’antitetica complessità dei desideri, degli umori, degli stimoli psichici e, dunque, delle reazioni emotive e dei conseguenti volubili comportamenti sono dipinti con una tavolozza variegata e nitida.
Le vicende raccontate coprono un’arco temporale abbastanza lungo, dal 1855 al 1882, e hanno come epicentro Catania. Il libro inizia con la morte della dispotica principessa Teresa Uzeda di Francalanza e termina con la trionfale elezione al parlamento del nipote Consalvo. Gli Uzeda, discendenti da viceré spagnoli, sono boriosi e incredibilmente affamati di ricchezze. Il loro sentimento più delicato è la vanità. Nobili insomma di nome ma non d’animo.
Non si creda però che De Roberto si limiti a riferirci le vicissitudini di una famiglia dilaniata da ipocrisie, rivalità, cupidigie, invidie e odi fraterni. Il vero tema del romanzo è un’asciutta analisi del risorgimento e dei deludenti effetti dell’unità d’Italia. La classe politica che si forma una volta unificato il paese, tolta la vernice della retorica patriottarda, persegue un solo ideale, l’interesse personale, e usa lo stato unitario per riempirsi le saccocce.
E da allora, come ben sappiamo, nulla è cambiato.
E’ inevitabile, leggendo ‘‘I viceré’’, non correre con la mente a ‘‘Il gattopardo’’, la celebre opera di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Ma il libro di Tomasi, benché scritto sessant’anni dopo, è meno attuale de ‘‘I viceré’’. Il nucleo tematico del romanzo di Tomasi è racchiuso nella battuta ‘‘perché nulla cambi bisogna che tutto cambi’’. Da Federico De Roberto traiamo invece un insegnamento ben più pregnante.
Quale?
‘‘Dall’unità d’Italia a oggi nulla è cambiato, tutto è rimasto tale e quale’’.
Sì, diciamolo, la letteratura è davvero preziosa se ci racconta la verità.



4 commenti:

  1. Mi hai "ferocemente" incuriosito. Da non siciliano hai dato una lezione a un siciliano (me) che si credeva d.o.c.! Devo procurarmi assolutamente questo libro. Ci sono buoni motivi oltre alla mia ignoranza. Grazie per la presentazione alla Damiani, impeccabile come sempre.

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    1. E' un libro, caro Corrado, di rara potenza. Una vera perla della nostra letteratura. E poi, lo ripeto, si fa leggere che è un piacere.

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  2. Consiglio anche 'I Beati Paoli'. Anche questo è un tomo "spesso " (e dunque: trattasi di una lettura consistente...) ma appassionante. Fu scritto nel 1909-10 da Luigi Natoli, che usò allora lo pseudonimo di William Galt. La vicenda si svolge attorno alle gesta di una setta segreta attiva nella Sicilia del XVII-XVIII secolo: i Beati Paoli, appunto.

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    1. Grazie, Peter, per il suggerimento. Lo seguirò con piacere leggendo "I beati Paoli", opera di cui ignoravo l'esistenza.

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