mercoledì 12 giugno 2013

La moneta della discordia

Voglio parlare oggi di un argomento affascinante.
I soldi.
Chi mi conosce sa che sono un pagano politeista. Il monoteismo non mi si addice. Sono, le monoteiste, religioni che obbligano e vietano, peggio del codice della strada. E poi, nel corso dei secoli, si sono sempre mischiate con la politica, provocando a volte conflitti sanguinosi. Per carità, lasciamole perdere.
Le divinità che adoro sono la dea Moneta e la dea Venere. Bacco no, essendo un dio a misura di cocainomani e alcolizzati. Quelli cioè che senza alcol, cocaina e Viagra non batterebbero un chiodo.
Negli ultimissimi anni devo però dire che la mia fede nella dea Moneta si è fortemente affievolita. Non che sia divenuto del tutto miscredente. Ma insomma, quasi quasi...
Queste mia crisi spirituale non nasce da ragioni astratte, ma da eventi recenti e concreti. Come ogni persona con un minimo di sale in zucca sa e ammette francamente, i soldi danno la felicità. E’ per questo che li amiamo. Senza soldi non si batte un chiodo, per rimanere entro l’ambito della metafora già ricordata. E allora come mai, negli ultimi tre anni, l’euro ha reso infelici tutti fuorché i tedeschi? Non avrebbe dovuto essere uno strumento per realizzare la gioia dell’Europa unita?
Sì, avrebbe dovuto.
E allora perché succede quello che sta succedendo? Di chi è la colpa?
Le più comuni risposte a tali angosciose domande sono di due tipi. C’è chi sostiene che una moneta senza uno stato – e né l’Unione Europea né l’eurozona sono stati – non funziona né può funzionare. A prescindere, per così dire.
Altri addebitano i guai odierni al trattato di Maastricht, che vieta alla Banca centrale europea di finanziare gli stati con lo scoperto di tesoreria o acquistando le loro obbligazioni alle aste.
Sembrerebbero tesi plausibili e un granello di verità forse ce l’hanno. Però spiegano l’attuale infelicità di sedici stati su diciassette entrati nell’unione monetaria. Non spiegano, infatti, la felicità della Germania.
Dunque, se l’euro rende tutti infelici, salvo i tedeschi, la ragione non sta nell’euro in sé, semplice strumento, ma in come lo si è usato. Cerchiamo perciò di capire come l’hanno ben usato i tedeschi e male gli altri.
L’aspetto cruciale è uno e uno soltanto. Aderendo alla moneta unica ciascun paese ha rinunciato alla potestà di batter moneta. Cosa ne deriva? Semplice, gli stati privi di sovranità monetaria possono finanziare le proprie spese solo attraverso il prelievo fiscale e il debito pubblico, ma non più stampando moneta.
Ciò impone dei vincoli di politica economica ben precisi. Se non si vuol perdere la fiducia dei sottoscrittori delle obbligazioni pubbliche e se si desidera che il flusso delle entrate erariali, a parità di pressione fiscale, si mantenga stabile, è necessario che l’apparato produttivo di un paese venga adeguatamente salvaguardato.
La Germania è riuscita a salvaguardare e rafforzare il proprio sistema economico, i paesi dell’Europa mediterranea no.
Ebbene, come e perché i tedeschi ci sono riusciti?
Be’, hanno bloccato la crescita salariale. Fatti pari a 100 i salari medi tedeschi del 2002, l’indice, calcolato al netto dell’inflazione, dieci anni dopo segnava 98. Lo stesso indice, riferito ai salari italiani, registra per il medesimo periodo una progressione che parte da 100 e arriva a 125. L’artefice di tale scelta fu l’allora cancelliere Gerhard Schröder, un socialista, mica uno sporco servo dei capitalisti.
Quale sono gli effetti di un blocco dei salari? Elementare, Watson. Se i salari non salgono si favoriscono i profitti. E il profitto è il motore dell’investimento. Realizzando maggiori profitti le aziende hanno più soldi da spendere in opifici, macchinari e scorte, da destinare all’innovazione dei prodotti, o allo studio e al lancio di nuovi prodotti, nonché all’introduzione di nuovi processi produttivi, al fine di abbassare i costi medi. Grazie a tutto questo l’industria tedesca, anno dopo anno, ha aumentato la propria produttività, ossia il valore della produzione per addetto, diventando più competitiva nei confronti dei concorrenti dell’eurozona. Non a caso i maggiori successi l’export tedesco li ha riscossi giusto nei mercati dell’eurozona, non tanto nel resto del mondo.
Gli altri paesi hanno invece seguito un’altra strada. Hanno sostenuto i consumi accrescendo il debito pubblico, sperando che la riduzione dei tassi d’interesse sui loro titoli di stato durasse in eterno.
Sostenere i consumi, in un mercato aperto, non va a vantaggio dei soli produttori nazionali. L’accresciuta domanda in parte si rivolge ai mercati esteri, provocando l’aumento delle importazioni. Salari che salgono deprimono inoltre i profitti e gli investimenti, impedendo alla produttività di aumentare. E se la produttività non sale i costi di produzione non si riducono, a discapito delle esportazioni. Insomma, si rivela alla lunga un cattivo affare.
Quando nel 2010 è scoppiata la crisi dei debiti sovrani, perché era venuto alla luce che i greci avevano spacciato per veri conti pubblici fasulli, si sono di conseguenza aggravati i dolori di pancia. Il governo della repubblica federale tedesca non si è lasciato sfuggire l’occasione per danneggiare gli apparati produttivi dei suoi concorrenti dell’eurozona, imponendo loro politiche economiche procicliche, giustificando l’amabile consiglio con la necessità e l’obbligo, da parte delle cicale, di risanare le finanze pubbliche dissestate.
Non si è però mai visto, nella storia millenaria dell’umanità, che politiche economiche procicliche abbiano risanato alcunché. I tedeschi questo lo sanno bene, avendolo sperimentato sulla propria pelle. Dal 1930 al 1932 l’allora cancelliere Heinrich Brüning, aumentando le tasse e tagliando la spesa, creò sei milioni di disoccupati, spianando la strada a Hitler. Il caporale austriaco, operando in maniera diametralmente opposta, ridusse in tre anni la disoccupazione allo zero per cento.
I risultati delle cure propinateci dall’alleato germanico sono strepitosi. Nell’Europa mediterranea la disoccupazione sale a livelli astronomici, mentre in Germania scende come non mai. Deutschland, Deutschland über alles.
Capite adesso perché la mia fede nella dea Moneta, giorno per giorno, si sta estinguendo?
Sì, è colpa dell’euro.
I soldi, diceva uno, bisogna saperli spendere. Noi, mi sa, l’euro l’abbiamo speso male.



8 commenti:

  1. Sono tempi davvero tosti, credere nelle idee è da pazzi, ma come dici bene anche credere nei soldi oggi è più folle che mai! Ma io non credo nemmeno nella Germania che "domina", nella Germania cattiva, semmai nell'incapacità politica di farsi valere. Tra l'altro l'idea dell'europa tutta intera, partendo con presupposti economici così diversi, è stata tutta una manovra che per molti aspetti ha ben poco di "ragionevole". Non c'è più niente in cui credere, speriamo di poter ritrovare presto qualcosa in cui confidare...fosse anche solo il tempo!

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    1. La Germania, caro Gianmarco, non è cattiva, fa semplicemente i suoi interessi. Oltre tutto, non è neanche detto che l'attuale manna per loro duri in eterno. Se la situazione economica degli altri paesi dell'eurozona peggiora, le loro esportazioni si ridurranno. Ne' l'euro avrebbe provocato i guasti che ha provocato se i governanti degli altri paesi fossero stati più accorti e meno disposti a obbedire alle imposizioni di Berlino. Dal punto di vista tecnico tutto quanto si sta verificando appare incredibile e folle.
      Ciò malgrado il mio pessimismo non è assoluto. Certo, unire l'Europa sarà difficile, come ricordava Fernand Braudel, il celebre storico, ma non sarà impossibile.

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    2. Eh, la Germania riesce a stare a galla perché ha politici discreti che sanno fare i suoi interessi; noi abbiamo quel che abbiamo, e i risultati si vedono.

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    3. No, Luigi, la tua affermazione è incompleta. La Germania ha i politici e gli elettori discreti. In democrazia non si può dire "piove, governo ladro", ma si deve dire "piove, corpo elettorale ladro". Sotto questo aspetto la democrazia è una gran brutta bestia, perché è basata sul principio di responsabilità, e le responsabilità ultime gravano sempre sugli elettori. Noi italiani purtroppo non riusciamo a capirlo e immaginiamo che il governo sia qualcosa di separato da noi. Invece altro non è che una nostra creatura. Se votiamo per chi ha idee bacate avremo mele marce e vermi al potere. Il popolo sovrano deve ringraziare solo se stesso.

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  2. Insomma Gabriele, perché vuoi mettere all'ostracismo le baccanti impazzite anche a costo di farsi sbranare?
    E-U-R-O: Era Una Rada Oscura! Pur condividendo in pieno la tua analisi, permettimi di essere più cattivello. Credi che quel PRODE professore che infilò l'Italia nell'Euro fosse ingenuo? Da virgulto DC era marcio dalla nascita e ha volutamente ignorato certi assiomi, sperando che fare il furbetto avrebbe risolto i problemi che da decenni bollivano in pentola. Se poi al paziente malnutrito tagli i viveri indispensabili e gli dai "gomma americana" da masticare, non gli puzzerà l'alito ma addio guarigione. Questo in linea di massima è quello che i saggi del tricolore continuano ad applicare con vigore. E attenti: non appena appare un qualche spiraglio, benché fasullo, ecco che partono le rivendicazioni. Che guaio non poter andare al ristorante, che guaio non poter partire in crociera, che guaio non poter vestire il marchio,... ecc. Anche costruire troppa economia sui bisogni soggettivi una volta o l'altra ci fa trovare con il culo per terra. Lo noteremo quando a tavola mancherà IL PANE! Ma quanto è duro sudare per produrlo! È inumano!

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  3. La festa è finita, caro Corrado, ma ho insegnato economia e mi è rimasto il vizio di affrontare i problemi da un punto di vista puramente tecnico.
    Il politicante democristiano cui hai alluso ha agito inconsapevolmente. E' infatti troppo incompetente per saper operare in modo consapevole. Dopo il nostro ingresso nell'euro diceva: "Se non entravamo nell'euro sarebbe stata la rovina". Ciò perché, senza il calo degli interessi, il servizio del debito si sarebbe troppo accresciuto, impedendo di continuare con la finanza allegra. Ma i nodi sono giunti al pettine e gli interessi sfiorano adesso i 100 miliardi, mentre il debito pubblico si allarga a ritmi vertiginosi, malgrado l'aumentata pressione fiscale.
    I consumi si ridurranno sempre più man mano che le schiere dei poveri s'infoltiranno. Chi ne ha le capacità dovrà emigrare. In linea teorica non sarebbe impossibile invertire il ciclo con ragionevole tempestività, ma le misure necessarie non possono essere adottate (i tedeschi non accetteranno mai gli eurobond, a meno che la crisi non cominci a mordere anche loro, e l'uscita dall'euro è rifiutata dalle stesse cicale). La conclusione è scontata: chi è vittima dei propri errori pianga se stesso.

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  4. Sei troppo buono con lui e con i suoi "peones": io sono convinto che sapeva benissimo perché lo faceva. Inconsapevolazza? Ma i titoli accademici se li era comprati? E le cattedre chi gliele assegnò? Da ignorante in materia il risultato e la situazione attuale mi erano da tempo più che chiari e potrei documentarlo, ma a che serve,non porto diademi.

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    1. E' figlio di un professore universitario che insegnava proprio a Bologna. Ciò malgrado non è neanche riuscito a laurearsi in economia e commercio e ha dovuto ripiegare su giurisprudenza. Lui insegna, o insegnava, sociologia economica. Cioè qualcosa che fa crepare dal ridere gli studiosi di teoria economica. Non scordare inoltre che a suo tempo Ciriaco De Mita era qualcuno. Infine, era in strettissimi rapporti con il defunto Beniamino Andreatta detto Nino, consigliere economico di Moro e poi ministro. Corra', ma tu pensi che la democrazia cristiana i suoi servi li faceva morire di fame? L'unico requisito che i gerarchi di partito richiedevano ai propri tirapiedi era un basso QI e un assoluto servilismo. Senza tali requisiti De Mita non l'avrebbe mai messo a presiedere l'Iri.

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