mercoledì 13 marzo 2013

E perbacco, pacta servanda sunt


Le norme fondamentali del diritto internazionale, non è un segreto per nessuno, sono due. La prima stabilisce che i trattati si rispettano finché conviene. La seconda sancisce che noi, all’occorrenza, siamo liberi di non rispettarli, i trattati, ma gli altri no. Dura lex sed lex.
Se qualcuno ritiene che siano, le mie, spiritosaggini di un inguaribile burlone, sbaglia. La repubblica federale tedesca – ripeto, la repubblica federale tedesca, non certo una qualsiasi repubblichina delle banane – le ha di recente applicate, quelle due fondamentali regole del diritto internazionale, con teutonico rigore.
Premetto che sia dal punto di vista morale, come anche sotto l’aspetto squisitamente tecnico, il comportamento dei governanti tedeschi deve essere considerato irreprensibile. Il loro dovere consiste infatti nel tutelare, con mezzi pacifici, gli interessi del proprio popolo. E naturalmente ci riescono perché, a differenza d’altri, sono competenti.
E ora, con il vostro permesso, arrivo al punto.
Nel 2003 la Germania, come anche la Francia, non rispettò i vincoli imposti dal patto di stabilità. Il patto, in vigore dal primo gennaio 1999 e introdotto nella normativa europea su insistenza dei tedeschi nel 1997 con il trattato di Amsterdam, stabiliva che il deficit di bilancio dei paesi dell’eurozona non avrebbe dovuto superare il tre per cento del prodotto interno lordo e il debito pubblico non avrebbe dovuto eccedere il sessanta per cento, sempre del pil.
Si è molto discusso sull’efficacia e sull’opportunità di questi limiti, ma rimestare qui l’argomento poco importa. E’ importante invece ricordare che la procedura di deficit eccessivo a carico di Germania e Francia, con le relative sanzioni da comminare, non venne attuata. Fu in sostanza applicata la prima norma fondamentale del diritto internazionale: i trattati si rispettano solo se fanno comodo.
Nel 2010, scoppiata con il caso della Grecia la crisi dei debiti sovrani, il governo tedesco ha reagito con la massima energia alla spiacevole situazione venutasi a creare, obbligando tutti gli altri a onorare la seconda regola fondamentale: noi no, ma voi i trattati li dovete rispettare.
Immaginare che il governo diretto dall’amabile Angela Merkel operi in tal modo perché animato da un ottuso spirito legalitario equivale a sognare a occhi aperti. Lo ha fatto e continua a farlo perché con il marco non si scherza, anche se per accidenti dovesse chiamarsi euro. E di euro la repubblica federale ne ha uno stringente bisogno, soprattutto per salvare le proprie banche, nella cui pance sono finite montagne di indigeribili titoli spazzatura americani e obbligazioni pubbliche emesse da paesi dell’Europa mediterranea.
Avendo pertanto la Germania, come tutti, un maledetto bisogno di quattrini, ha creduto bene di non lasciarsi sfuggire l’occasione per attirare capitali e remunerarli a tassi d’interesse inferiori al tasso d’inflazione. A tale scopo ha imposto ai paesi in crisi dell’eurozona di attuare politiche economiche procicliche – ossia misure che hanno quale effetto quello di peggiorare le condizioni economiche, non di migliorarle – nella certezza di accrescere i trasferimenti di capitale dai paesi in crisi alla Germania. Evento che, come da giuste previsioni, si è regolarmente verificato.
A questo punto penso sia chiaro che i differenziali di rendimento – per gli intenditori, spread – tra i titoli pubblici tedeschi e quelli dell’Europa mediterranea non nascono per una congiura del destino, ma grazie a una rigida applicazione delle due regole fondamentali del diritto internazionale.
E noi, direte, ce ne stiamo qui buoni buonini a farci tartassare dai nostri governati al fine, magari nobile, di proteggere il benessere del popolo tedesco?
La mia risposta è sì.
L’idea che noialtri siamo in grado di sfuggire alle vicissitudini masochistiche di cui siamo vittime pecca un po’ troppo di fantasia. Sarebbe necessario porre al centro del dibattito politico il problema dell’euro e dei rapporti con la Germania. E non mi pare proprio che ciò stia avvenendo.
Dopo tutto, una fetta cospicua del nostro apparato burocratico, come anche un terzo del corpo elettorale, un’ampia galassia del modo accademico e tanti gazzettieri sono prigionieri d’impulsi illiberali e antiriformisti, che però mascherano con la retorica europeista. Il loro totem è lo status quo.
E con progressisti di tal fatta si va indietro, non avanti.



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