mercoledì 21 novembre 2012

Comicità editoriale


I miei rapporti con gli editori di libri sono finora stati fonte d’esilaranti sollazzi. Ho specificato ‘‘editori di libri’’ perché devo escludere dal novero una casa editrice seria, la GVE, che pubblica però rotocalchi, sul cui settimanale ‘‘Vera’’ sono usciti vari miei racconti e un romanzo a puntate, per i quali ho riscosso puntuali e soddisfacenti compensi.
Di solito chi stampa libri non è purtroppo fatto della stessa pasta. Sulla rete esiste un sito dal nome che non lascia spazio a dubbi, ‘‘Scrittori in Causa’’, dove vengono illustrate le mirabolanti gesta di quella infinita schiera di ciarlatani e/o accattoni, nerbo dell’editoria italica.
Le caratteristiche basilari che contraddistinguono le case editrici sono il dilettantismo e l’incompetenza, binomio dalla comicità irresistibile. Per lo stesso romanzo, ‘‘L’ultima missione’’, ebbi da un editore veneziano un giudizio positivo per i contenuti ma negativo per lo stile, mentre un suo collega milanese giudicò negativamente i contenuti e positivamente lo stile. Insomma, valutazioni opposte dalle quali è impossibile ricavare alcuna utile indicazione. Ciascuno di loro ha in pratica dato prova d’essere vittima di un soggettivismo tanto estremo quanto sterile. Imprese commerciali in mano a tali dilettanti, nemmeno in grado di analizzare con criteri oggettivi la merce da vendere, suscitano l’ilarità più gustosa.
La stessa situazione si ripeté per ‘‘Un buon sapore di morte’’. Un editore romano mi scrisse una lettera nella quale al mio noir venivano riconosciute ‘‘una grande inventiva, una spiccata intuizione, una scrittura matura, interessante e ben collaudata, una buona capacità di elaborare gli spunti proposti, un modo elegante di condurre il lettore’’, ma non poteva pubblicarlo perché andavano fatti dei tagli che gli costavano evidentemente troppa fatica.
Sempre per ‘‘Un buon sapore di morte’’ una domenica pomeriggio mi chiamò al telefono un talent scout che lavora per uno dei marchi appartenenti a Silvio Berlusconi, il noto femminista. Esordì con delle lodi sperticate e terminò l’arguto sermone suggerendomi di allungare il testo di altre cento cartelle. Supposi fosse un estimatore della letteratura a peso e dopo qualche giorno di divertite riflessioni gli scrissi dicendogli che non avevo nessuna voglia di allungare la brodaglia. Rinunciai in sostanza a entrare nel parco buoi del femminista.

E passiamo ora all’accattonaggio editoriale, perché quattro ricche risate addolciscono la vita.
Nel 1999 feci stampare da un sedicente editore ‘‘Commedia all’italiana’’. Si trattò di un’edizione puramente nominale, a uso e consumo dei miei amici, parenti e conoscenti, in quanto non cedetti i diritti alla sedicente casa editrice. Qualche anno dopo scoprii tuttavia che i furbi avevano messo il libro in vendita sui bookshop presenti in rete. Spedii subito una raccomandata dal tono dolcissimo, avvertendoli che non l’avrebbero passata liscia se (cito alla lettera) ‘‘non rimediate con rapidità fulminea alla violazione dell’articolo 640 del vigente codice penale di cui Vi siete macchiati stampando sul mio romanzo “Commedia all’italiana” il simbolo © vicino al nome della Vs. ditta, inducendo così gli ignari a credere che Vi avessi ceduto i diritti, quando invece mi ero limitato, con un contratto intitolato “Contratto d’autore” e non certo “Contratto d’edizione”, a ordinarVi di stamparmi e consegnarmi trecento copie del romanzo. Mandatemi a strettissimo giro di posta una comunicazione scritta e sottoscritta nella quale fate ammenda del Vs. errore fraudolento, e Vi dimenticherò per sempre.’’
Mi ubbidirono di corsa.
Quasi la stessa cosa si è poi ripetuta con ‘‘Un buon sapore di morte’’. La mattina del 25 agosto 2008 appurai che il libro era uscito perché mi telefonò Silvana Mazzocchi di ‘‘Repubblica’’ per intervistarmi. Si era ad ogni modo verificato un piccolo inconveniente, di cui informai la giornalista. Non avevo infatti firmato nessun contratto e le copie giunte nelle librerie andavano di conseguenza considerate frutto di un’edizione pirata, per la qual cosa avrei provveduto a rovinare l’editore se non vi poneva immediato rimedio.
Nel pomeriggio mi chiamò al telefono il direttore di collana. Aveva saputo dell’inghippo e io gli spiegai, con la cortesia che mi caratterizza quando affronto una difficoltà, che il problema poteva essere risolto in due modi. O stipulando un contratto, sia pure tardivo, o richiedendo ai competenti uffici di applicare il codice penale. Il poverino perse del tutto la testa e mi rese noto che lui aveva intervistato i peggiori delinquenti d’Italia – il tizio è infatti redattore di ‘‘Cronaca Vera’’, il celebre settimanale culturale – ma uno come me non l’aveva mai conosciuto.
Be’, da ridere, diciamo la verità.
Una mezz’oretta più tardi ricevetti una telefonata dall’amministratrice delegata. Le ripetei grosso modo gli stessi concetti già espressi al direttore di collana e, affinché capisse che non andavo a caccia di rogne, la invitai a spedirmi il contratto per posta elettronica. Lo avrei stampato, in due copie, sottoscritto e spedito alla casa editrice per posta, al fine di consentirle di firmarlo a sua volta e rispedirmi indietro una copia.
Detto fatto.
Trascorsero un paio d’anni e senza alcuna mia sorpresa, lo confesso, non vidi il becco di un quattrino. Ripresi il contratto e me lo studiai con la massima attenzione alla luce della legge 633/1941, che come si sa regola il diritto d’autore.
Il contratto, scoprii, era nullo. Morale della favola, quella pubblicata un paio d’anni prima rimaneva, sotto tutti gli aspetti giuridici, un’edizione pirata di ‘‘Un buon sapore di morte’’, poiché in realtà non avevo ceduto alcun diritto.
Volli comunque per prima cosa valutare il grado di accattonaggio dell’editore, chiedendogli ripetutamente di spedirmi i rendiconti. Finalmente, il 25 maggio 2010, si compì il miracolo e ricevetti un primo conteggio nel quale risultava che al 31 dicembre 2009 avevano venduto 225 copie del mio romanzo. Mandai la nota d’addebito e aspettai i soldi.
Sto ancora aspettando.
Cominciai a tempestarli di solleciti. Con mio sommo divertimento mi arrivarono non i soldi ma un nuovo rendiconto, nel quale si dichiarava che fino all’8 settembre 2010, data cioè successiva a quella del primo, avevano venduto 195 copie, ossia trenta in meno di quante secondo loro risultavano il 31 dicembre dell’anno prima.
Non ci crederete, ma i diritti relativi a queste 195 copie me li hanno pagati. Io però non ho voluto negarmi il piacere di sparare una bordata con calibri da trecentottanta millimetri addosso all’amministratrice delegata, scrivendole una email tanto tecnica quanto galante.
L’oggetto era: ‘Tentata truffa o truffa?’’. Il testo, sfrondato dei dettagli tecnici, suonava così:
‘‘Temo, gentile dottoressa, che lei non abbia piena consapevolezza di tutte le conseguenze giuridiche cui è andata incontro sottoscrivendo il contratto d’edizione da me speditovi in duplice copia con raccomandata del 26.08.2008, dopo averne stampato il testo da voi inviatomi il giorno precedente per posta elettronica, e relativo al mio romanzo ‘‘Un buon sapore di morte’’. Mi corre pertanto l’obbligo, umano e morale, di elencare quelle conseguenze a una a una.
‘‘1) Lei ha volontariamente sottoscritto un contratto nullo.
‘‘2) Calcolo dei compensi scientemente fraudolento.
‘‘3) Rendicontazione illegalmente esclusa.
‘‘4) Pagamento illegalmente escluso.
‘‘5) Termini di pagamento scientemente inficiati.
‘‘Immagino sappia che la responsabilità penale è personale e, nella sua qualità di amministratrice delegata, e quindi di legale rappresentate, sarà l’unica a rispondere per i reati commessi in mio danno’’.
La donna, ricevute parole tanto graziose, non ha aperto bocca. Sa perfettamente, se ci prova, a cosa andrà incontro.
Dal canto mio, mi sono limitato a pubblicare ‘‘Commedia all’italiana’’ e ‘‘Un buon sapore di morte’’ nella collana just-E di Meligrana Editore.
La carta, mi sa tanto, è meglio lasciarla perdere.



6 commenti:

  1. Scusa la mia perplessità, forse sto rimbambolendo in toto: quando mi sono procurato i tuoi scritti in digitale, li ho trovati solo su ebook di repubblica. E credo eservi stato in qualche modo avviato dal sito di Meligrana se ricordo bene. Per quello che riferisci sugli editori potrei aggiungerci sale e pepe. L'editoria per tanti è divenuta come un'organizzazione non profit, una sorte di Caritas a sostegno di chi si autodefinisce editore.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. In verità, caro Corrado, quelli pubblicati da Meligrana sono esposti praticamente in tutte le librerie telematiche, mentre quello pubblicato da Autodafé lo si trova su Bookrepublic e Ultimabooks e forse anche altrove ma non ne sono troppo sicuro. Circa gli editori il mio sconcerto è totale. Le grandi case immagino siano serie con gli autori però non sempre lo sono con i lettori, nel senso che pubblicano anche libri che non si fanno leggere. Stando così le cose, ho una mezza idea che l'unica sia scrivere per hobby. Tanto per ammazzare il tempo.

      Elimina
  2. O mamma mia, Gabriele, quante traversie e quanti disonesti, anche in questo campo. È vergognoso costatare che nemmeno l'arte è immune da approfittatori.
    Ciao e grazie
    sinforosa

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Eh, cara Sinforosa, l'accattonaggio (chiamarli ladri mi sembra un complimento troppo grosso) è l'anima dell'editoria.

      Elimina
  3. Credevo che la pirateria si fosse fermata nel '600! E invece ora devo ricredermi

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Eh, Isabella, la pirateria editoriale, a quanto pare, non tramonta mai.

      Elimina