lunedì 12 novembre 2012

Diciamoci le cose vis-à-vis


Fino a poco tempo fa il rapporto tra narratore e lettore era sempre stato unilaterale. A senso unico. Lo scrittore scriveva e il lettore, se ne aveva voglia, leggeva. Al di là di questo, però, non si andava. L’autore non aveva alcuna opportunità d’incontrare i lettori e ascoltare la loro voce, salvo sporadiche occasioni, quali ad esempio la presentazione di libri.
Né il lettore aveva la facoltà di rivolgersi all’autore per chiedergli questo o quello, oppure esprimergli con parole schiette i propri giudizi e punti di vista. Tra i due il dialogo, semplicemente, era impossibile.
Oggi invece quel dialogo, grazie alla rete telematica, è diventato possibile ed è per questo che ho deciso di dar vita a un blog.
Per dirci le cose vis-à-vis.

Il rapporto a senso unico, come l’ho definito, era falso ed è un bene che sia finito. O, per dir meglio, che si abbia oggi la facoltà di superarlo, di gettarcelo alle spalle.
Per quali motivi era falso?
Perché nasceva da una concezione del narratore in gran parte sbagliata, lontana dal vero. Una concezione che attribuiva all’autore di romanzi e racconti la qualifica di creatore, la qualifica di artista. Il lettore, secondo questa visione, era di conseguenza un semplice fruitore dell’opera d’arte. Un consumatore passivo.
La credenza che il romanziere debba per forza essere un ‘‘artista’’ deriva da un equivoco. Ossia che la sua sarebbe un’attività squisitamente, o almeno in gran parte, di natura estetica e lui abbia perciò il dovere di qualificarsi prima di tutto come abile manipolatore di parole. Ma è un’idea un po’ meschina perché ognuno di noi sa che non basta scrivere una bella storia né basta scriverla bene. Bisogna pur metterci qualcosa dentro. Un quid che rubi l’attenzione ed emozioni.

Quel quid ha un nome ben preciso. Si chiama verità.
Non certo la verità di un fatto di cronaca, o la verità di un evento storico. E’ dovere di giornalisti e storici appurare e riferire fedelmente i fatti accaduti. La verità dello scrittore corrisponde invece alla cruda realtà esistenziale ed emozionale nella quale sono immersi e lui e i lettori. E questo speciale genere di realtà comprende anche la capacità di vivere, attraverso la fiamma dell’immaginazione, esperienze desiderate che la vita ci nega.
Chi scrive romanzi e racconti, dunque, è soprattutto un testimone, più che un creatore. Un testimone cui tocca raccontare con prosa godibile e scorrevole la realtà esistenziale ed emozionale che il destino riserva a lui e ai suoi simili. In un certo senso, non è lui a scegliere le storie che scrive, ma sono le storie che scelgono lui. Sono cioè le concrete esperienze di vita, e i desideri insopprimibili, a guidare la sua penna.
E se le cose stanno così – e stanno così, non prendiamoci in giro – non ha alcun diritto di sottrarsi al confronto franco e aperto con chi i testi li legge e condivide con lui temi e significati delle vicende narrate.
Diciamoci quindi le cose vis-à-vis.
Vi aspetto.




2 commenti:

  1. Vero.
    D' accordissimo con la frase:
    " In un certo senso, non è lui a scegliere le storie che scrive, ma sono le storie che scelgono lui. Sono cioè le concrete esperienze di vita, e i desideri insopprimibili, a guidare la sua penna."

    Anche io ho scritto un romanzo e ci ho messo le mie esperienze, cosa penso della vita, gli insegnamenti ricevuti, quelli che avrei voluto, e gli insegnamenti della vita.

    La possibilità del contattato lettore-scrittore è importantissimo: il lettore appone le sue esperienze, il suo modo di vedere la vita che può essere simile, diverso o avere delle sfumature sottili rispetto alla visione dello scrittore.

    Bel post.
    Un salutone!
    Daniele

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    1. Grazie, Daniele, per l'apprezzamento. Ho soltanto messo a nudo le mie opinioni sulla prosa narrativa. Ho giocato insomma a carte scoperte, per così dire, dando così modo al lettore di sapere come la penso e di giudicarmi.

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