Alle
elezioni regionali in Molise e in Friuli Venezia Giulia il Movimento
Cinque Stelle ha deluso, perdendo in meno di due mesi molti dei voti
ottenuti alle politiche del quattro marzo.
Il
motivo?
Semplice.
Gli elettori molisani e friulani hanno punito i Cinque Stelle perché
a Roma non sono stati capaci di formare un governo.
Il
loro capo politico, Luigi Di Maio, dando troppo ascolto ai consigli
del giornalista Marco Travaglio, ha infilato due vicoli ciechi.
Ha
cercato prima di convincere il nuovo capo del centro-destra Matteo
Salvini a fargli da stampella, purché lasciasse fuori Forza
Italia, cioè uno dei partiti della coalizione guidata da
Salvini stesso. Poi si è rivolto al Partito Democratico, nella
speranza che l'ex segretario Matteo Renzi, dichiaratosi contrario sin
dal cinque marzo a sostenere un governo pentastellato, non contasse
più nulla, mentre invece è vero il contrario.
Luigi
di Maio ha cioè acceso due forni e si è bruciato. Se ne
deduce che è un pessimo panettiere.
Non
pago delle tante scottature, si è rivolto infine di nuovo a
Matteo Salvini. Stavolta per indurlo a chiedere, insieme a lui, un
immediato ritorno al voto, pregando il presidente della repubblica di
sciogliere le camere.
Una
richiesta, data l'aria che tira, poco astuta.
Innanzitutto,
il presidente non ha alcuna voglia di dargliela vinta. Almeno, non
ora. E poi, dopo quanto successo in Molise e Friuli Venezia Giulia,
come può illudersi l'onorevole Di Maio di raggranellare più
voti di quelli ricevuti il quattro marzo?
In
conclusione, le stelle per un po' hanno brillato. Adesso cominciano a
cadere.
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