Esserci
o non esserci (al governo con i Cinque Stelle), questo è il
problema.
Dal
quattro marzo tale dubbio amletico tormenta il Partito Democratico.
L'ex
segretario Matteo Renzi, cui va riconosciuto il non invidiabile
merito di aver condotto i suoi alla sconfitta, e il neo-iscritto
Carlo Calenda rispondono no. Altri esponenti, come Dario
Franceschini, Andrea Orlando, Michele Emiliano e Walter Veltroni
dicono sì.
In
altre parole, il partito è diviso.
Una
chiassosa pletora di intellettuali e giornalisti di parrocchia, quali
Gianfranco Pasquino, Massimo Cacciari, Eugenio Scalfari, Marco
Travaglio, Peter Gomez e Antonio Padellaro, intravedendo un'affinità
elettiva tra Partito Democratico e Movimento Cinque Stelle, giacché
molti ex elettori del primo il quattro marzo hanno votato il secondo,
si battono per salire sul carro dei vincitori o, almeno, per fornire
l'indispensabile stampella a un governo Cinque Stelle.
Ma
il Partito Democratico è diviso. Ossia, molti dei suoi
parlamentari appartengono alla corrente dell'ex segretario Matteo
Renzi e sono ancora pronti a obbedire agli ordini da lui impartiti. E
finché una tale condizione perdura il Partito Democratico non
è in grado di proporsi ai Cinque Stelle come valido alleato di
governo.
Diciamo
la verità, la sconfitta ha un gusto davvero amaro.
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