Patrizia
Morlacchi, l’autrice di ‘‘La tela di Santa’Agata’’, un
avvincente giallo dalle garbate tonalità pastello, ci
sorprende ora con un noir dai densi risvolti sociali e il pensiero,
impossibile negarlo, corre subito a Leonardo Sciascia.
Il
nuovo libro s’intitola ‘‘Hanno ammazzato il Guercio’’,
incluso nella prestigiosa collana ‘‘Italia Noir’’ del gruppo
editoriale ‘‘La Repubblica-L’Espresso’’, sarà in
edicola dal 23 gennaio. Per saperne di più ascolteremo adesso
la viva voce della scrittrice.
Allora,
Patrizia, può dirci qualcosa del suo ultimo romanzo?
In
“Hanno ammazzato il Guercio” compare di nuovo il Commissario del
mio precedente romanzo e cioè Eraldo Sparvieri che, per una
non meglio precisata incompatibilità ambientale, costretto a
chiedere il trasferimento dalla località in Salento dove
prestava servizio ad altro luogo, si ritrova in Molise, in una
cittadina immaginaria che si chiama Corniola.
Sparvieri è
molisano d’origine. I suoi genitori erano molisani e lui stesso è
nato in Molise, ma si è trasferito a Roma da bambino. I suoi
ritorni in regione erano così legati alle lunghe vacanze
scolastiche dei mesi estivi quando tornava nel paesino d’origine a
stare con i nonni. La sua visione di questa terra è stata, in
conseguenza, fortemente influenzata da queste circostanze. Per lui il
Molise è un mondo semplice, bonario, familiare e affettuoso.
Appena arrivato
nella sede di Corniola, però, accade il fattaccio: il
Commissario si imbatte nel cadavere di un “incaprettato”, una
modalità di omicidio legata ad un mondo mafioso del tutto
estraneo alla terra in cui avviene. Come mai?
La vicenda si dipana
via via alla ricerca di una giustificazione per il tipo di esecuzione
criminale, all’individuazione del movente e dell’assassino
attraverso un’inchiesta che porta alla luce uno scandalo politico.
A causa di questo
imprevisto sviluppo, Sparvieri si trova costretto a indagare nei
rapporti sociali di Corniola e a ricomporre il “suo” Molise, una
visione per certi versi deformata dall’infanzia, con la realtà
dell’oggi che, nel trascorrere degli anni, ha modificato
economicamente e sociologicamente questa terra.
Accanto a Spavieri
sua moglie Vera, milanese che, nonostante il matrimonio, continua a
vivere e a lavorare nella sua Milano in modo tale che la loro vita a
due si frammenta in lunghe e frequenti pause senza, tuttavia,
incrinare un rapporto ricco e intenso.
E adesso, se non
siamo indiscreti, ce le sussurra due parole su di sé?
La fatica di
Sparvieri, nel riadeguare l’immagine dei suoi ricordi giovanili con
la realtà, si sovrappone, per certi versi, al processo
conoscitivo che ho dovuto io stessa compiere quando sono venuta a
vivere in questa Regione.
Io, infatti, sono
lombarda – lombarda DOC - e sono venuta a vivere in Molise dopo
essermi sposata con un molisano conosciuto in India, ormai più
di trent’anni fa.
Non avevo conoscenza
di questa terra prima di trasferirmi qui e nemmeno, in generale,
avevo conoscenza del meridione d’Italia, se non per sporadiche gite
turistiche di pochi giorni.
All’inizio di
questa mia nuova e intensa esperienza di vita, ho colto soprattutto
proprio gli aspetti più positivi di questo Sud e cioè
la sua ospitalità generosa, la sua bonomia, la cortesia, la
disponibilità umana e la tolleranza.
Doti
di grande rilievo morale ed espresse in modo così spiccato
che, messe a confronto con la freddezza nordica, la poca indulgenza
verso il prossimo e lo spiccato senso del “resoconto” per quasi
ogni relazione umana, in una visione quasi “ragionieristica”
dell’esistenza (cosa me ne viene/cosa mi costa), mi facevano
sentire in difficoltà con la mia “lombarditudine”,
una parola che mi sono inventata per coniugare il senso lombardo
della vita e insieme il senso di solitudine che la distingue, almeno
di quella Lombardia che io ho lasciato oltre trent’anni fa e che è
anch’essa distante e diversa dall’oggi.
E’ stato con lo
scorrere del tempo che mi sono resa conto che, accanto alle sue
indubitabili virtù, il Molise coltiva anche un’abitudine
all’accettazione del destino che gli si impone, una scarsa
raffigurazione del proprio futuro, una indolenza neghittosa a reagire
che può essere considerata, nell’immobilismo che ne deriva,
anche una sorta di complicato cinismo, di non facile decifrazione
soprattutto dal punto di vista di certe virtù lombarde come
sono un pragmatico razionalismo, l’inclinazione per la verità
soppesata, un pessimismo operoso, una certa insofferenza per
l’approssimazione e l’irresponsabilità.
Da qui, attraverso
Sparvieri, cerco di comprendere e capire un mondo solo in apparenza
semplice scrivendo una storia da cui – spero – possa trasparire
l’amore che ho per il Molise che è, forse, la vera ragione
d’essere del romanzo stesso.
Grazie, Patrizia
Morlacchi. I lettori del suo ultimo romanzo sapranno di sicuro
apprezzare la sua sensibilità, come donna, e l’abilità
tecnica come scrittrice.
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