Il
nove novembre 1989 crollò il muro di Berlino.
Tredici
anni prima, il nove settembre 1976, era spirato Mao Zedong, notissimo
dittatore cinese.
Questi
due eventi, insieme, hanno causato la morte delle dottrine economiche
marxiste e, allo stesso tempo, il sorgere di un equivoco.
Lo
sfacelo dell’impero sovietico e la conseguente fine della guerra
fredda spinse infatti a credere che al sistema bipolare,
caratterizzato dalla pluridecennale contrapposizione dei principali
antagonisti, cioè Urss e Usa, ne sarebbe subentrato un altro
dove un’unica superpotenza, gli Usa, avrebbe svolto il ruolo di
gendarme del mondo.
Tale
previsione politico-strategica, così come dimostrato dalle
recenti crisi ucraina e siriana, si è rivelata del tutto
infondata.
Le
ragioni?
Economiche,
in prevalenza, e non è male gettarci uno sguardo.
A
partire dal 1976, defunto Mao e liquidata in un lampo la banda dei
quattro, costituita da ferventi seguaci delle perniciose bizzarrie
maoiste, la Cina, sotto la guida di Deng Xiaoping, straordinario e
pragmatico riformatore per il quale il colore dei gatti non aveva
alcuna importanza – bianchi o neri, l’importante era che
acchiappassero i topi – intraprese un luminoso percorso di vigorosa
e velocissima crescita economica, fino a diventare quello che è
ora. Ossia, la seconda potenza economica del globo.
Ma
che cosa, in pratica, Deng Xiaoping fece?
Nulla
di straordinario. Buttando alle ortiche le dottrine economiche
marxiste, disincagliò il suo paese dalle secche dell’economia
pianificata e v’introdusse prassi e istituzioni dell’economia di
mercato, inclusa la volgarissima e diabolica proprietà
privata. Scusate se è poco.
Tutto
ciò, né più né meno, si sarebbe ripetuto
anche in Russia una volta crollato il muro di Berlino, sebbene a un
ritmo più lento.
E’
difficile immaginare che Deng abbia mai letto gli scritti di Ludwig
von Mises e di Friedrich von Hayek, due economisti liberali esponenti
di prima grandezza della scuola austriaca. Con ogni probabilità
si è limitato a seguire il proprio buonsenso e l’esperienza
personale. Va comunque ricordato, tanto per dare a Cesare quel che è
di Cesare, che furono Mises e Hayek a spiegare i motivi per cui
un’economia pianificata, allorché tutti i mezzi di
produzione sono detenuti nelle mani dello stato, non potrà mai
produrre più ricchezza di un’economia di mercato.
Saremmo
tutti istintivamente propensi a ritenere che l’economia pianificata
sta all’economia di mercato come la razionalità sta al caos.
Ma in realtà è il contrario. Per quanto i pianificatori
possano essere abili e competenti, non disporranno mai delle
specifiche conoscenze, né delle intelligenze e dei talenti in
possesso a una miriade di operatori l’un l’altro concorrenti,
ognuno dei quali decide e agisce autonomamente, tenendo però
d’occhio l’andamento dei prezzi e adattandosi di continuo alle
mutevoli condizioni per non soccombere.
L’operare
in regime di concorrenza ha come effetto generale tanto una più
intensa crescita della produttività quanto il moltiplicarsi
delle innovazioni, a una cadenza impensabile in un regime
pianificato, dove il movente del profitto non trova spazio.
In
conclusione, i gatti di mercato acchiappano più topi e
producono più ricchezza dei gatti colletivisti.
Il
passaggio via via avvenuto dei paesi ex satelliti dell’Urss alla
Nato ha rappresentato la prova tangibile dell’apoteosi americana.
Ma nel frattempo anche l’economia russa si risollevava dalla
stagnazione. Ed è cresciuta al punto che i russi hanno ripreso
a pronunciare la parola ‘‘niet’’ senza più timidezza.
Anzi, hanno saputo affrontare le crisi ucraina e siriana con una
disinvoltura che ha lasciato a bocca aperta gli allocchi d’occidente.
Né
appare fruttuoso l’aver imposto le sanzioni alla Russia dopo che,
con un referendum plebiscitario, la Crimea si era riunita alla
madrepatria. In primo luogo, le sanzioni danneggiano le imprese
dell’Europa occidentale. In secondo luogo, caduta la cortina di
ferro, nella coscienza di ogni europeo si è radicata la
consapevolezza che il vecchio continente inizia a Lisbona e finisce a
Vladivostok.
In
altre parole, nessun europeo occidentale vuol morire per Kiev, o per
Damasco. E se è pur vero, come c’insegna la storia, maestra
di morte, non di vita, come erroneamente si ripete, che la follia dei
politici al potere è illimitata, la prona sudditanza finora
mostrata dai governanti dell’Unione europea alle richieste
statunitensi si scontrerà presto o tardi contro la volontà
dei loro elettori.
Il
sogno americano di diventare il gendarme del mondo si è dunque
infranto al cospetto di una Russia e di una Cina che hanno preferito
perseguire la ricerca della prosperità anziché la magra
povertà garantita dalle dottrine economiche marxiste. Pertanto
gli Usa non potranno più primeggiare da soli, ma dovranno
cooperare con le altre potenze. Altrimenti, verrà il peggio.
Un lampo che illumina bene i riflessi di un processo che continua a evolvere. Un galoppo sfiancante (quello dell'economia mondiale) che sperpera le proprie energie nella continua ricerca del "più opportuno", seminando miseria e disordine, e che sarà costretta ad accettare il principio: pensa globale, opera locale. Forse la nuova politica americana si muove inconsciamente in tale direzione.
RispondiEliminaChiedo umilmente venia, Corrado, ma a mio modestissimo parere non è l'economia che semina miseria e disordine, bensì la politica. Sono però d'accordo sul fatto che si debba pensare globale e operare locale.
EliminaNon hai nulla da scusarti Gabriele, né tantomeno era mia intenzione indirizare l'indice contro l'economia. Non ho aggiunto quello che "rimuginavo" e una parte di esso, quale frase inserita in un romanzo in cantiere, la esprimo qui:
Elimina«Cosa è la politica?»
«È un aborto dell’economia! Veste l’abito del sociale elevato a vessillo, trasformandolo in strumento o ideale di potere.»
Lo so che anche questo non è apprezzato ma ho le mie strane visioni per dirlo.
E' una definizione della politica che condivido.
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