Stormi d’uccellacci del malaugurio si sono alzati in volo e oscurano con le più fosche previsioni gli estivi cieli dorati della penisola.
Finita l’estate dovremmo aspettarci, a loro dire, una sfilza di tragici eventi, quali ad esempio una manovra finanziaria da dieci miliardi, se non addirittura venti, per evitare che il deficit pubblico sfori il tetto del tre per cento in rapporto al pil, reperiti magari attraverso un prelievo forzoso sui risparmi; la caduta del governo presieduto dall’ex sindaco Renzi; l’arrivo della famigerata troika (Ue, Bce, Fmi); nonché la fine anticipata della legislatura.
Questa è la musica che i profeti suonano ed è una brutta musica. Non sono un veggente e non possiedo dunque la benché minima facoltà di sapere fin d’ora se questa marcia funebre la ascolteremo soltanto o se invece si tradurrà in avvenimenti concreti. E’ però già possibile adesso indicare, se non le probabilità, almeno i limiti oggettivi di ogni singolo presagio.
Cominciamo dall’ultima profezia, quella che prevede le elezioni anticipate.
Be’, va subito detto che in Italia, per una norma esistente e rispettata pur se non scritta, una legislatura non può mai durare meno di due anni e mezzo. Ciò perché i parlamentari acquisiscono il diritto alla pensione solo se rimangono in carica per almeno due anni e mezzo.
Le camere attuali, scaturite dal voto del febbraio 2013, rigurgitano di parlamentari di prima nomina e costoro tuteleranno con le unghie e con i denti i propri interessi economici. Basta quindi fare un calcolo facile facile per capire che prima dell’autunno 2015 nuove elezioni politiche non appaiono plausibili. Dopo, forse sì. Ma solo se il partito di maggioranza relativa, varata la nuova legge elettorale, avrà la certezza di vincere, altrimenti no.
Passiamo alla penultima, l’arrivo della troika.
Affinché il vaticinio si verifichi sarebbe necessario che il nostro paese richieda un finanziamento al fondo salva stati (Meccanismo europeo di stabilità) e al Fondo monetario internazionale.
Naturalmente, come sappiamo, a questo mondo tutto è sempre possibile, sta però il fatto che aumentando all’impazzata dal 2012 a oggi il debito pubblico, il tesoro dispone ora di circa cento miliardi di liquidità. Una cifra che sebbene non assicuri in caso di bufera la salvezza – e per bufera intendo una nuova fuga degli investitori dalle nostre obbligazioni pubbliche e una flessione improvvisa del gettito fiscale – allontana comunque il timore di un’indesiderata visita, a breve termine, della troika in casa nostra.
E arriviamo così alla terz’ultima profezia.
L’ex sindaco Renzi lascerà palazzo Chigi? Fino al trentuno dicembre di quest’anno ciò sarà matematicamente impossibile, nemmeno se lui volesse, e la ragione è chiara. Il presidente della repubblica non accetterà mai che il governo in carica si dimetta durante il semestre di presidenza italiana dell’Unione europea. Sarebbe una figuraccia storica e saremmo sommersi dal ridicolo. Quindi, non succederà.
Da capodanno in poi ogni giorno sarà invece buono per una eventuale crisi di governo. Ma l’ex sindaco perderà la poltrona solo se saranno i suoi compagni di partito a desiderare di togliergliela (i minuscoli alleati no, in quanto non ne ricaverebbero alcun vantaggio, anticiperebbero anzi la loro scomparsa), e non si vede come e perché. La pazzia degli uomini è illimitata, d’accordo, ma in politica la pazzia non confligge mai con la convenienza.
Certo, potrebbe essere l’ex sindaco in persona a decidere un bel dì di dimettersi, ma lo farà soltanto se dovesse a un dato momento convincersi che conservare il pesante incarico di presidente del consiglio possa nuocere alla sua immagine di giovane statista dal luminoso avvenire.
E infine, la manovra.
Va premesso che il governo italiano aveva concordato con la commissione europea di ridurre nel 2014 il deficit pubblico al 2,6% del pil, confidando in una crescita dello 0,8%. Ciò non succederà. Il pil non crescerà oltre lo 0,3%, stando alle stime più favorevoli, e perciò il gettito fiscale non salirà nella misura sperata e il rapporto deficit/pil si aggraverà, non migliorerà. Né la privatizzazione di quote d’azienda in mano allo stato sta procedendo nella misura e ai ritmi programmati. La revisione della spesa, poi, pur se resa oltremodo chic denominandola in americano di Harvard, la si predica ma non la si pratica.
In sostanza, i presupposti per una manovra ‘‘lacrime e sangue’’ sembrerebbero esserci tutti. Per di più l’Europa dice no – o meglio, ‘‘nein’’, perché l’Europa parla tedesco – alla richiesta di maggiore ‘‘flessibilità’’, ossia di superare i limiti stabiliti per il deficit pubblico, tanto sognata dall’ex sindaco Renzi.
E allora?
Eh, cosa volete che vi dica? Con i grossi guai della finanza pubblica – o, se vogliamo chiamarli con il loro nome, con i problemi creati dall’Unione monetaria europea – qualcuno finirà per rompersi il grugno.
Sarà forse una lunga agonia.
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