La fortuna si dice sia cieca, mentre la sfortuna ci vedrebbe benissimo.
Sarà, ma nemmeno la sfortuna ha la vista acuta, a me pare. Sono bendate tutte e due.
Ogni giorno che passa mi si radica sempre più in testa l’idea che le qualità e i pregi personali non vengono premiati come meritano. I capricci della sorte sembrano avere, nel determinare il successo o l’insuccesso professionale di una persona, un peso di gran lunga maggiore. Né sembra che l’imbecillità conclamata rappresenti un serio ostacolo per ascendere sulla vetta.
Insomma, il talento non paga. Né l’esserne privi significa perdere la speranza di raggiungere i traguardi più luminosi.
Tutto ciò è ingiusto, ma in un certo senso è purtroppo inevitabile. La linea di partenza non è uguale per tutti. Chi nasce figlio di papà gode di indubbi vantaggi. Siete un povero scemo? Non abbiate paura, se vostro padre siede in parlamento un posticino di rilievo in un ente pubblico non ve lo negherà nessuno. Se nascete al contrario in una regione dominata dalle organizzazioni criminali, dovrete fare i conti con quella triste realtà. Ossia, se non intendete adeguarvi all’ambiente, sarete tagliati fuori pur se possedete un quoziente d’intelligenza pari a quello di Albert Einstein.
Il contesto, come lo chiamava Leonardo Sciascia, domina le nostre vite, c’è poco da discutere.
Devo ammettere, vergognandomi non poco, che i miei più lucrosi successi professionali li ho ottenuti senza alcuno sforzo di volontà o un minimo impegno da parte mia. Sono stati puri colpi di fortuna. Così come, al contrario, i più cocenti insuccessi hanno beffardamente ricompensato le mie più vigorose fatiche.
E’ deprimente, lo so, e si finisce con il diventare fatalisti. Al riguardo mai dimenticherò un fatto che mi raccontava mio padre. Quand’era allievo ufficiale un suo istruttore, che aveva combattuto in Russia, non mancava di ricordare come la prudenza e l’avvedutezza non fossero bastate a salvare la vita a tanti suoi commilitoni. La prima pallottola vagante era tutta per loro. Al contrario i più avventati, i più spericolati, gli scervellati da manicomio in combattimento non si facevano neanche un graffio. In base alle sue esperienze di guerra quell’istruttore era perciò diventato un fatalista convinto.
Come diceva qualcuno, vale di più un grammo di fortuna che 100 chili di sapere...
RispondiEliminaGli antichi greci avevano ben chiaro il concetto, difatti nella loro cultura il fato occupava un posto determinante nella vita di ciascuno.
Gli antichi greci sprizzavano saggezza da ogni poro, dici bene, però a me, che sono una testa dura e poco saggia, la voglia di lottare contro la malasorte non verrà mai meno. Perderò, ma non mi arrendo.
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