Per gli autori di racconti, e per i loro lettori, internet sta cambiando le regole del gioco. Chi oggi ama leggere narrativa breve dispone, grazie al computer, di una sovrabbondante messe di testi di ottima qualità a costo zero.
E d’altro canto, scrittori fino a ieri del tutto ignorati hanno la possibilità, sempre grazie al computer, di raggiungere un proprio pubblico di appassionati. I più attivi, fra tali scrittori, aprono un blog.
A uno di loro ho voluto rivolgere alcune domande. Si chiama Enrico Aldobrandi e il suo blog è intitolato ‘‘La conquista dell’emozione’’. Un titolo che mi ha colpito, così come pure mi ha colpito la maturità della sua prosa. Dai suoi racconti, popolati di bambini, adolescenti e adulti feriti dalla vita, traspare un’estrema sensibilità, con l’aggiunta di un pizzico di mistero.
Enrico, quanti anni hai?
Quarantanove.
Dove vivi?
Firenze.
Sei sposato?
Si.
Hai bambini?
Tre maschi.
Quali sono le tue competenze professionali?
Ho un panificio. Faccio il fornaio.
Da quanto tempo hai il blog?
L’ho aperto a marzo di quest’anno.
Quando hai cominciato a scrivere racconti?
A scrivere racconti ho iniziato tre anni fa. Mi piacerebbe poterti dire “scrivo da sempre, da quando ho imparato a tenere una penna in mano”, come vedo che è capitato praticamente a tutti. Ma non è così. Ho passato trent’anni inseguendo la forma artistica sbagliata. Credevo di poter diventare un chitarrista.
Dove prendi lo spunto per scriverli?
Immagazzino particolari, frammenti di conversazioni, sensazioni e stati d’animo. Restano così, a maturare da qualche parte, poi quasi senza preavviso vengono fuori. Posso partire da uno scorcio di conversazione ascoltata al bar, oppure dal passo stentato di un vecchietto visto per strada. Quando escono, escono prepotentemente, quasi come storie già scritte, e a me non resta da fare altro che usare un po’ di mestiere e sistemare il tutto, che è senza dubbio la parte più complicata e faticosa.
Inserisci nelle trame qualche traccia autobiografica o no?
Quasi mai. Cerco sempre di annullarmi il più possibile. Credo che un bravo scrittore debba prima di tutto riuscire a fare quello. Io, proprio perché non lo sono, devo sempre sforzarmi di ricordarlo per non cadere in tentazione. Ci sono qua e là tracce di vita vissuta, ma davvero poche. Invece nei personaggi e nel tenore delle storie che racconto, si sente forte il disagio che m’ha accompagnato per lunghi tratti e con il quale ho sancito un armistizio non molto tempo fa. Non posso farci niente e forse è giusto così. Tempo fa lessi i consigli di una scrittrice famosa che raccomandava a chi le chiedeva come si fa a scrivere qualcosa di decente: ‘‘Scrivete dove fa male’’, diceva lei, e forse è proprio questo che c’è alla base di quell’armistizio.
Quali sono gli autori di racconti che più apprezzi e leggi?
Sicuramente Salinger. “Nove racconti” è senza dubbio un punto di riferimento per quanto mi riguarda. Poi mi piacciono Buzzati, Hubert Selby Jr, Joyce (‘‘Gente di dublino’’), Wallace.
Hai l’abitudine, prima di pubblicarli sul blog, di far leggere i tuoi racconti a qualcuno?
No. Sono una persona estremamente riservata per quanto riguarda la sfera dell’intimo, quando voglio far leggere quello che ho scritto, internet, con la sua sterminata platea di amici sconosciuti, è il modo migliore per farlo. Pochi tra i miei conoscenti stretti sanno di questa passione.
T’è mai saltato in mente di scrivere un romanzo o preferisci, come Raymond Carver, rimanere legato alla narrativa breve?
Ho già scritto due romanzi, che poi sono la forma letteraria che preferisco. I racconti mi servono più che altro per allontanarmi e tornarci sopra più tardi, con maggiore distacco, quando riesco a vedere gli errori, i refusi, etc. Uno è in fase di riscrittura, e dovrei riuscire a finirlo entro il prossimo anno. Sono purtroppo anche maledettamente pignolo. Per l’altro, vedremo.
Auguri a Enrico. Sforzarsi per non personalizzare troppo i propri scritti è una fatica di Sisifo. Io non ne sono capace. Anche quando tratto personaggi estranei al mio modus vivendi, inventati, non posso evitare di rispeccharli in me, nel mio modo di vedere. Allo scrivere dove fa male aggiungerei, scrivere dove turbina perché sotto ci stanno emozioni.
RispondiEliminaNeanch'io, lo confesso, quando scrivo mi tengo alla larga da me stesso, dalle mie dirette esperienze e dai miei segreti desideri. Anzi, è per me un presupposto essenziale e non a caso considero l'autore di narrativa un testimone. Ma la mia non deve assolutamente essere una concezione accettata da tutti. Ognuno ha il diritto di scrivere come e perché gli pare, purché riesca ad avvincere il lettore e non faccia il trombone di regime o di partito.
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