È la fine d’aprile e le rondini sfrecciano da una grondaia all’altra, nell’orgasmo di riparare i nidi. Nei giardini le rose, inghirlandate di boccioli, eseguono una gaia sinfonia di colori e nugoli di cetonie volteggiano galanti fra i rami spinosi, tubando con le giovani corolle.
Con un quaderno per gli esercizi di latino stretto all’ascella, Flavio si avvita nella spirale della scala a chiocciola e sale in casa di Marta. Lei lo riceve con un sorriso, lo guida in tinello, e gli dice:
«Non è la villa hollywoodiana dove abiti tu, ma io sono affezionata a queste quattro stanzette. Conosci il proverbio, no? Casa mia, casa mia, per piccina che tu sia per me sei una badia».
Flavio obietta che malgrado non sia una badia è… accogliente. E comunque, aggiunge, la sua non è una villa hollywoodiana.
«Ma se a scuola non parlano d’altro. Di quant’è grande, di come è arredata e…».
«Quelli gonfiano tutto».
Sotto la disinvoltura sfoderata da Marta, Flavio indovina un’ansia repressa. Anche lui del resto è emozionato; quasi trattiene il respiro.
Lei prepara il tè e lo serve nelle tazze di porcellana del servizio buono e Flavio si pente di non aver comperato un mazzolino di fiori o una scatola di cioccolatini. Dal pavimento filtrano i rumori della falegnameria: lo sfrigolio della sega a nastro, i battiti del martello. Sorbiscono il tè inzuppandoci i biscotti e Flavio osserva gli occhi verde smeraldo, la carnagione chiara e liscia, madreperlacea, i capelli castani, folti, lunghi e ondulati.
***
Tre anni prima, varcando il portone del liceo scientifico “Cesare Battisti”, la consapevolezza d’essere un allievo delle superiori e non più un moccioso delle medie lo aveva saturato d’orgoglio. Con le orecchie frastornate dalla baraonda inscenata da cinquecento e passa alunni si accingeva a spiccare il balzo che, attraverso un temibile – oh sì, di questo ne era certo – quinquennio di studi, lo avrebbe elevato dall’adolescenza ai fasti dell’età adulta. Nell’androne si era urtato con una ragazza e quella ragazza era Marta. Aveva biascicato delle scuse, sbigottito dallo sguardo di smeraldo. Poco dopo l’aveva vista entrare nella sua stessa aula. Lei aveva occupato un posto due banchi più avanti, nella fila a sinistra. Si era girata verso di lui e lo aveva fissato. Flavio aveva subito abbassato gli occhi.
Il primo anno di liceo, il secondo anno e buona parte del terzo erano trascorsi senza che accadesse nulla. Flavio era timido e la timidezza lo paralizzava. Al massimo scambiò con lei qualche parola nei minuti di ricreazione. Per lo più commenti sulla ferocia degli insegnanti e banalità sull’inclemenza del tempo. Sapete com’è, no? Fa sempre troppo freddo, o fa troppo caldo. Stabilì svariate decine di volte di invitarla al cinema, ma al dunque la baldanza gli si era puntualmente sgretolata.
Marta intuì, lusingata, che lui si struggeva nel desiderio di corteggiarla. Un desiderio che non portava a nulla di concreto. Di cascamorti lei ne aveva a bizzeffe. Le ronzavano attorno con la stessa petulanza con la quale i libertini di un tempo assillavano le ballerine di can can. Li teneva alla larga con il bastone di bambagia. Garbata e spiritosa con tutti, senza dare spago a nessuno. Non incoraggiava neanche Flavio. Non apertamente. Perché in verità era con lui meno convenzionale e gli riservava un’unghia di simpatia in più. Sfumatura, questa, che arroventava le fantasie di Flavio e nell’intimo gli alimentava la speranza di piacere a Marta. Poco poco, magari, solo un misero pochettino. E le cose stavano così. Flavio piaceva a Marta. Le piaceva perché era timido e arrossiva se lei gli sorrideva, le piaceva perché non era uno spaccone, le piaceva perché non sapeva farle la corte. Le piaceva. E quando lui, radunando briciole di coraggio piovute chi sa da dove, le aveva chiesto se non le fosse dispiaciuto aiutarlo a risolvere gli esercizi di latino, lei lo aveva invitato a casa, sabato pomeriggio ore quindici e trenta.
***
Flavio depone la tazza di tè e la bacia. Senza stupore lei accoglie il contatto delle sue labbra e gli poggia una mano dietro la nuca e per Flavio è bellissimo perché prima d’ora non ha mai baciato nessuna. Assapora lo zucchero di quegli attimi con la gioia di un bambino che, al risveglio, scopre in camera una bicicletta nuova fiammante. Dopo, si gettano a capofitto sulle frasi di latino e le risolvono con facile rapidità.
Passano i mesi, fitti d’incontri extrascolastici e di baci. A scuola Marta diventa “la ragazza di Flavio” e Flavio diventa “il ragazzo di Marta”. La presenta ai genitori e sua madre commenta:
«Sì, è carina, mica lo nego. Un po’ acerba nei modi, forse. Come dire? Un po’ selvatica. D’altronde, cosa vuoi pretendere dalla figlia di un falegname?».
Bello davvero. Ecco un racconto di quelli che piacciono a me. L'avrei voluto scrivere io. Magari l'avrei fatto in modo diverso, ma il finale, più o meno, sarebbe stato quello.
RispondiEliminaTi sono debitore, Enrico, per il giudizio lusinghiero. Questo racconto, apparso più volte su varie rivistine culturali, è in realtà il primo capitolo di un romanzo breve intitolato ''Luna di miele'', da me scritto nel 1982 durante il servizio di leva e uscito a puntate nel 2009 sul settimanale femminile "Vera". "Luna di miele" racconta le vicissitudini di due ragazzi, Flavio e Marta appunto, che abbandoneranno l'adolescenza concependo un figlio che nascerà morto.
EliminaChe bel sapore che lascia in bocca prima di arrivare alle ultime tre righe che ci paracadutano sulla meschina realtà umana! Pennellate delicate e poi il forte colore di una chiazza. Complimenti, ma tanti!
RispondiEliminaTi ringrazio, Corrado, con le guance in fiamme. Quella che tu chiami "meschina realtà umana", e che io preferisco definire pregiudizio sociale, la scoprii grazie alle parole del mio miglior amico. Adesso progetta armi in una fabbrica di proprietà della repubblichina italiana, benché non abbia neanche svolto il servizio militare in quanto preferì arruolarsi negli obiettori di coscienza. L'ho sempre considerato intelligente e sensibile ma ai tempi del liceo criticò una ragazza della nostra età, figlia di una professoressa di francese, perché rimase incinta senza essere sposata. Fu quello il mio primo impatto, scioccante, con il pregiudizio sociale e il racconto scaturì da quell'esperienza.
EliminaIl superbo Gabriele ed i suoi colpi di scena nell'ultimo rigo. Bellissimo racconto, mi ha preso moltissimo perché mi sono rivisto in Flavio: per due anni di università non ho avuto il coraggio di dire nulla alla ragazza che amavo in segreto... ma ora è di un altro. La meschina realtà, come dice Corrado, eheh.
RispondiEliminaBeato te, Luigi, che hai subito il "blocco del timido" solo all'università. A me è successo alle elementari (si chiamava Donatella, occhi azzurri, trecce bionde, carnagione nivea, è morta a Torino di overdose), alle medie (si chiamava Stefania, occhi verdi, trecce nerissime e carnagione nivea), all'università (si chiamava Vittoria, occhi verdi, bionda, carnagione nivea), e succede tutt'ora (sono tutte con occhi e carnagione chiari ma cominciano prima o poi a fare discorsi da pazze: matrimonio, convivenza, eccetera, tutta ruba che gela i timidoni come me). Eh, cosa vogliamo farci, sono il tipo d'uomo che non piace alle donne.
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