Dopo il rientro dalle ferie i dipendenti pubblici vorrebbero, tramite il rinnovo dei loro contratti di lavoro attualmente bloccati, un aumento dello stipendio. E’ chiaro che la riduzione d’imposta di ottanta euro al mese, appena elargita anche a loro dal governo, non gli basta. Pretendono di più.
L’appetito, come c’insegnano i nutrizionisti, vien mangiando.
Hanno le loro richieste una pur minima possibilità d’essere accolte?
La risposta è no. Il massimo che il presidente in carica del consiglio dei ministri, l’ex sindaco Renzi, concederà loro saranno promesse, in quanto le chiacchiere non costano niente, e qualche striminzito contentino più simbolico che concreto.
Le ragioni sono ovvie.
Un aumento della spesa corrente necessaria per pagare aumenti salariali ai dipendenti pubblici dovrebbe essere coperta da un corrispondente aumento della pressione fiscale. Non ci è possibile infatti sforare i limiti di bilancio del tre per cento imposti dal patto europeo di stabilità, né potremmo sottrarci al rientro concordato del deficit pubblico per raggiungere il pareggio tra entrate e uscite previsto dal cosiddetto patto di bilancio (fiscal compact, per chi parla come Al Capone). Poiché la pressione fiscale, che include fisco e parafisco, è pari ora al cinquantacinque per cento del reddito nazionale, un ulteriore aumento determinerebbe una compressione dell’economia, con inevitabile crescita del numero di disoccupati, e dunque degli introiti erariali.
Se per ipotesi il governo italiano provasse a trasgredire i trattati internazionali sottoscritti per far parte dell’unione monetaria (patto di stabilità e patto di bilancio), saremmo poi costretti, per non essere cacciati fuori dall’euro, ad accettare una specie di commissariamento da parte dell’Unione europea. In altri termini, a Roma verrebbe la troika a comandare.
«E allora usciamo dall’euro!», potrebbero a questo punto sostenere in tanti.
Potrebbe essere una soluzione, se effettuata in maniera appropriata, ma nel momento attuale nessun governo la attuerà mai. Con interessi sui titoli del debito pubblico così bassi come adesso, tanto da sembrare ridicoli, uscire dalla moneta unica viene considerata, dai capi di governo, una pazzia.
In conclusione, leviamoci dalla testa di poter godere di un po’ di respiro. Immensi oceani di lacrime ancora ci aspettano.
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