venerdì 14 febbraio 2014

La miseria si paga in euro

Finora il peggior regalo che uno stato poteva fare ai propri cittadini era rappresentato dalla guerra. Ogni guerra incomincia sempre con un perentorio invito dei politicanti indirizzato al popolo:
«Armiamoci e partite».
I politicanti hanno però taciuto tutte le volte il loro pensiero susseguente:
«E se crepate, amen».
I popoli, alla lunga, si sono scocciati di crepare. Ciò ha reso la guerra invisa all’opinione pubblica e, almeno nelle democrazie, oggigiorno nessuno tollera più lo spirito bellicista. Perciò, se vuoi i voti, non devi predicare la guerra. Vengono a malapena sopportate soltanto le cosiddette operazioni di pace, chiamate anche operazioni di polizia internazionale, che poi altro non sono che guerre coperte alla bell’e meglio dalla foglia di fico dell’Onu.
I politicanti ne sanno comunque una più del diavolo e per imporre inutili sofferenze ai loro concittadini ne hanno studiata un’altra.
«Se non puoi ammazzarli con la guerra», hanno pensato, «è possibile ad ogni modo ridurli alla miseria».
Grazie all’euro, ci sono riusciti.

In alcuni paesi d’Europa, come sappiamo, l’euro è diventato la moneta con la quale si compra la miseria, la moneta con la quale si distrugge il benessere di gran parte della popolazione.
Consentitemi di riepilogare brevemente i fatti, perché se ne trae una lezione davvero istruttiva.
Nel 2010, scoppiata con il caso greco la crisi dei debiti sovrani, il membro più potente dell’Unione europea, ossia la repubblica federale tedesca, ha agito con determinazione per tutelare i propri interessi.
La grave situazione finanziaria dello stato greco, lì lì a un soffio dal perdere la capacità di onorare i propri debiti, avrebbe potuto costar caro alle banche tedesche, come anche a quelle francesi, poiché detenevano in portafoglio considerevoli quantità di titoli pubblici ellenici.
Le banche tedesche si erano di recente ritrovate coinvolte pure nel tonfo dei titoli tossici americani. Al governo di Berlino il loro salvataggio era costato, almeno secondo alcune stime, qualcosa come cinquecento miliardi di euro. Se la Grecia avesse dichiarato bancarotta, la Germania si sarebbe dovuta accollare per intero un altro salatissimo salvataggio delle proprie banche.
Dunque, la Grecia andava salvata.
E chi avrebbe dovuto salvarla?
Ma le istituzioni internazionali a ciò preposte, ovvio!
L’esistenza del Fondo monetario internazionale, della Banca centrale europea e dell’Unione europea, tre decantate e generose istituzioni sovranazionali, ha perciò consentito ai tedeschi di dividere con altri paesi europei e con il Fondo monetario il costo del salvataggio delle proprie banche, nonché di quelle francesi, spacciandolo per salvataggio della povera Grecia.

Naturalmente, tutto ha un prezzo. Si è perciò consentito alla Grecia di ricevere gli aiuti solo a patto di aumentare le tasse e ridurre la spesa pubblica. Ossia, di distruggere la propria economia e di rendere in tal modo matematicamente impossibile un risanamento delle finanze pubbliche, scaricando in mezzo alla strada una valanga di disoccupati.
Le stesse politiche economiche suicide le stava nel frattempo attuando la Spagna, malgrado si trovasse perfettamente in regola con i vincoli imposti dal trattato di Maastricht. Il suo deficit pubblico era infatti inferiore al tre per cento del prodotto interno lordo e il debito dello stato si trovava ben al di sotto del sessanta per cento in rapporto al pil. Gli spagnoli hanno operato in tal modo nella speranza di correggere il rosso della loro bilancia commerciale, che anno dopo anno cresceva sempre più. Meno consumi, avranno pensato, meno importazioni. Risultato? Un sistema economico danneggiato in maniera spettacolare, debito pubblico alle stelle e una valanga di disoccupati in mezzo alla strada.
Le stesse politiche sono state poi imposte anche agli irlandesi, ai portoghesi e a noi italiani. Da noi il numero di disoccupati non ha ancora raggiunto le percentuali di Grecia e Spagna perché i nostri politicanti non sono all’altezza di tagliare la spesa pubblica, essendo solo capaci di aumentare le tasse. Non tutte le incompetenze vengono per nuocere, è il caso di dire.

Ma perché i tedeschi ci ordinano di seguire politiche economiche tanto irrazionali, tanto autolesioniste? Si chiederà qualcuno.
Perché vogliono cacciarci dall’unione monetaria, ecco perché. Inoltre, i flussi di capitale hanno smesso di dirigersi dalla Germania alla periferia. Succede ora il contrario. I soldi, come si sa, fanno gola a tutti, specie ai più ricchi.
E perché i nostri politicanti obbediscono senza fiatare agli ordini emanati da Berlino? Non esistono soluzioni alternative?
Le soluzioni alternative esistono eccome. La più semplice consiste nell’unificare il debito pubblico dei paesi dell’eurozona, emettendo i cosiddetti eurobond, ma i tedeschi la rifiutano con sdegno. L’altra sarebbe la monetizzazione del debito pubblico da parte della banca centrale, ma il trattato di Maastricht la vieta e i tedeschi non intendono riscriverlo.
E allora?
E allora niente. Chi continuerà ad aumentare le tasse e a ridurre la spesa pubblica prima o poi dichiarerà bancarotta e verrà cacciato a calci nel sedere dall’euro.
Vogliamo scommettere?
Vi consiglio di no, vincerei io.



Nessun commento:

Posta un commento