sabato 26 ottobre 2013

I vizi e le illusioni

Ho letto ormai da alcune settimane il romanzo d’esordio di Carmen Scotti, intitolato ‘‘Il vizio’’(Aliberti Editore, 2008), e, detto in tutta sincerità, mi risulta difficile togliermelo dalla testa. La ragione è piuttosto semplice e si condensa in una manciata di parole. La Scotti, giovane e fresca autrice messinese, possiede qualità letterarie tutt’altro che comuni.
Premetto che ho qui usato l’aggettivo “letterarie” senza alcuna intenzionalità offensiva. Benché sia assolutamente vero che di solito il termine “letterario” indica per me non una qualità bensì un difetto, stavolta sono incappato nell’eccezione che conferma la regola. Insomma, il fatto che la Scotti scriva in maniera gradita ai critici non è di nessun ostacolo al mio meditato apprezzamento.
Il successo di critica, per altro, non si è lasciato attendere. Basti pensare che Gian Paolo Serino, su ‘‘La Repubblica’’, elogiando i pregi del romanzo non ha avuto remore a presagirne le inevitabile conseguenze. E cioè che ‘‘Il vizio’’ diventerà forse un “caso editoriale”. I critici, naturalmente, da quei solerti compilatori di etichette che sono, non sono riusciti neanche stavolta a controllare le loro ancestrali pulsioni, sbizzarrendosi in slogan parecchio coloriti, tipo “Scerbanenco del postmoderno” e “piaceri à la japonaise”. Di risonanze noir, come pure di risonanze erotiche, il libro della Scotti non è scevro, e se i critici lo hanno impacchettato contemporaneamente in due generi diversi il vantaggio è grosso, a ben vedere, in quanto tutta la narrativa è “di genere”. Quella che ama definirsi letteratura ‘‘tout court’’ appartiene in realtà al genere peggiore, il genere che il giallista Gianni Biondillo chiama, con elegante oggettività, “letteratura da salotto”. Ad ogni buon conto ‘‘Il vizio’’, per la felicità dei lettori, tutto è meno che letteratura da salotto.
Ma tralasciamo le boutade dei critici, siano esse “noir” o “à la japonaise”, e volgiamo gli occhi alla nostra giovane autrice. Della sua scrittura fascinosa avevo già avuto sentore leggendo il racconto ‘‘Pregate che non sia inverno’’, apparso sul settimanale ‘‘Cronaca Vera’’, caratterizzato tuttavia da un grumo di mistero che permane anche a lettura finita. Nel romanzo, invece, alla matura densità dello stile si aggiungono, con impeccabile chiarezza, i valori contenutistici. Il particolare che mi ha maggiormente sorpreso è stato il nitido realismo con il quale viene descritta la sessualità maschile, indubbio segno di una capacità “visionaria” o, per meglio dire, di un vigore immaginativo, scaturito da precise conoscenze che nessuno avrebbe mai sospettato una donna potesse avere. Ad esempio io, che sono maschio, se per assurda, denegata ipotesi, come dicono i legulei in tribunale, dovessi occuparmi di sessualità femminile, non saprei proprio a quale santo votarmi. Il punto di vista femminile, in merito, mi sfugge.
A tal proposito la Scotti, in una lettera privata, mi ha fornito una simpatica spiegazione, affermando che “per la sessualità maschile ho basato tutto sulla mia atavica invidia del pene e, a quanto pare, ci ho preso. Se fossi un uomo sarei peggio del signor Tosi (ossia il personaggio principale, nonché antieroe, del suo romanzo), e sarei un essere spregevole in tutto e per tutto”. L’autoironia rende sicuramente onore all’intelligenza della mia giovane collega, va tuttavia presa cum grano salis. Oltre tutto, i miei trascorsi di studioso di epistemologia della scienza economica, e di assiduo frequentatore del pensiero di Karl Raymund Popper, m’impediscono di prestare ascolto alle panzane pseudoscientifiche di Sigmund Freud. La psicanalisi, Popper docet, è utile solo a farsi quattro risate. O a spennare i polli che ci credono.
Chiarimenti ben più ponderati, e illuminanti, Carmen Scotti li ha resi al blog della rivista ‘‘Grazia’’, sia pur schermando la propria cultura con un pizzico di brio giovanile. “Mi intrometto per dirvi – ha dichiarato al blog – che è uscito il mio primo romanzo e che si intitola ‘‘Il Vizio’’. Il libro prende spunto da ‘‘La casa delle belle addormentate’’ di Yasunari Kawabata e parla di un bordello dove le prostitute sono delle quindicenni tenute addormentate da sonniferi e i clienti sono dei vecchi e facoltosi uomini d’affari. Ho provato a tradurre l’erotismo giapponese nella Milano d’oggi e a capire cosa poteva scatenare, nella mente di un ricco uomo d’affari milanese, il contatto con il corpo di una ragazzina addormentata. Il libro mi è costato tantissima fatica, ma l’emozione che si prova a vederlo sugli scaffali delle librerie è impagabile”.
Sappiamo così da quali raffinati lidi si è mossa la creatività della Scotti e a quali approdi, emotivi ed esistenziali, ha puntato la densa scioltezza del suo fraseggio. Tutto ciò realizzato attraverso una struttura narrativa abbastanza complessa. Il romanzo è infatti diviso in due parti, ognuna delle quali utilizza una diversa voce narrante. La prima parte, in terza persona, racconta le avventure dell’anziano satiro, il signor Tosi. La seconda dà voce alla piccola siciliana Angela Catena, la prostituta ragazzina che confida al diario le vicende della propria sorte e i suoi miseri desideri. Dal punto di vista tecnico scrivere in questa maniera è dannatamente difficile. Personalmente lo evito come la peste, perché bisogna essere in grado di cambiare punto di vista e voce narrante, creando differenti universi psicologici e stilistici. Una fatica di Sisifo che richiede una bravura da mostri. Bravura che la Scotti sfoggia con invidiabile disinvoltura.
‘‘Il vizio’’, naturalmente, non è soltanto un romanzo redatto con il sapiente impiego di una signora penna. E difatti le eccellenti qualità tecniche che spiccano nelle sue pagine non rimangono per niente prive di quelle istanze morali che a mio parere, come ho avuto più volte occasione di ripetere, rappresentano la sostanza profonda delle opere di narrativa. Lo squallore della vicenda, lo squallore dei personaggi, del vecchio vizioso e benestante, come pure della ragazzina schiava di perniciosi sogni consumistici da raggiungere a prezzo della propria innocenza, definiscono con amarezza le anime corrotte e perdute che infestano la società d’oggi. Una società per la quale una lacrima appare sempre ben spesa. Sperando che alla commozione si unisca altresì, nel lettore, una migliore e proficua consapevolezza della realtà che lo circonda.
Tirando le somme, dunque, non mi resta che riconoscere con sincera obiettività che Carmen Scotti appartiene a quella razza di scrittori main stream al cui cospetto noi, e quando dico “noi” intendo gli onesti autori popolari, ci togliamo d’istinto tanto di cappello. Non vi è dubbio alcuno che noi autori popolari sappiamo scrivere assai meglio della pletora di guastamestieri che ammorbano gli scaffali delle librerie, però la Carmen scrive persino meglio di noi, c’è poco da discutere, e al riguardo mi è facile esprimere l’ovvia profezia che i suoi testi entreranno a buon diritto nel cuore dei lettori.



2 commenti:

  1. mi incuriosisci molto più del riso del dottor Scotti. Ho l'impressione che mi darò al "Vizio" o meglio che lo farò mio. L'età ce l'ho, il resto... non so.

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    1. Non te lo suggerisco. Il vizioso, nel romanzo della Scotti, fa una brutta fine.

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