lunedì 8 luglio 2013

Il lavoro che non c'è

Magari a tanti non importa un emerito fico secco, me ne rendo perfettamente conto, ma qualcuno potrebbe, per pura curiosità intellettuale, domandarsi se la disoccupazione di massa deve essere accettata come un’insindacabile imposizione della sorte o se invece esiste la possibilità di contrastarla.
La risposta al quesito, da un punto di vista teorico, è facilissima. E poiché considero la crescente disoccupazione come il sistema più brutale per peggiorare la distribuzione del reddito, è mia opinione che bisogna essere pronti a stipulare patti con il diavolo, per dir così, pur di creare un posto di lavoro.
Per riuscirci in tempi rapidi andrebbero fatte due cose. Primo abbassare di colpo la pressione fiscale del 10-15%. Secondo, bloccare la dinamica salariale.
La riduzione delle imposte deve essere consistente perché il sistema economico ha bisogno d’un colpo d’ariete per invertire il ciclo e far lievitare consumi, risparmi, investimenti e, quindi, domanda di lavoro.
I salari, almeno agli inizi, vanno tenuti fermi, altrimenti gli effetti positivi del calo dell’imposizione fiscale sul tasso di disoccupazione verrebbero in parte sviliti. Ma ciò non sarà sentito dai lavoratori come un sacrificio, per la semplice ragione che una riduzione delle aliquote delle imposte dirette accrescerà il loro reddito spendibile e la riduzione delle aliquote delle imposte indirette determinerà una relativa discesa dei prezzi, facendo così salire, a parità di reddito nominale, i loro redditi reali. Una volta che il percorso verso il pieno impiego prende consistenza, anche i salari potranno naturalmente salire a un tasso inferiore o pari all’aumento della produttività.
Vi è però un piccolo problema. Proposte di politica economica teoricamente risolutive, inclusa quella appena illustrata, non sono in pratica attuabili. L’Italia, infatti, aderendo all’unione monetaria europea ha perso la facoltà di stampare moneta e non sarà in grado di finanziare il più ampio deficit pubblico provocato nell’immediato dal minor gettito dovuto alla riduzione delle aliquote. Né appare plausibile che il buco di bilancio possa essere coperto dal debito pubblico, giacché i giudizi delle agenzie di valutazione peggiorerebbero e il servizio del debito diverrebbe perciò insostenibile.
La lezione da trarne è chiara. O si riacquista la sovranità monetaria oppure si riscrive il trattato di Maastricht per consentire alla Banca centrale europea di finanziare gli stati con lo scoperto di tesoreria o con l’acquisto dei loro titoli alle aste.
Comunque, né l’una né l’altra cosa si verificheranno mai. La seconda non la vogliono i tedeschi. La prima non la vogliono i governanti dei paesi in crisi. Sognando il pieno impiego, ci resta pertanto una sola speranza: che la dea bendata ci regali una lunga e deprimente stagnazione. E’ il massimo di ottimismo possibile. Ma forse è pure questa una speranza irrazionale. Nulla ci vieta infatti di prevedere che anche da noi la disoccupazione raggiunga quanto prima percentuali greche e spagnole.
Abbiamo voluto la moneta unica?
Arrangiamoci.



6 commenti:

  1. E poi dai del pessimista a me :-)

    Comunque quella cosa del blocco salariale la fecero in Germania all'inizio dell'era della moneta unica, prevedendo il futuro. Ma non con una palla di vetro e una botta di culo. Economisti, governo e sindacati si misero
    d'accordo e programmarono una via comune. Tutti insieme. Valla a spiegare a un'Italiano la storia del bene comune.

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    1. Sì, dici bene, la Germania, con i cosiddetti pacchetti Hartz, ha reagito opportunamente alla perdita della sovranità monetaria. Va comunque ricordato che avevano i salari più alti d'Europa e la medicina non dolce poteva, a causa di ciò, essere accettata dai sindacati. Gli altri paesi hanno sostenuto i consumi con il debito pubblico sperando che il calo del tasso d'interesse sui loro titoli (il premio per il rischio) durasse in eterno. Fu un errore che stiamo pagando amaramente.

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  2. Da una pausa sicula, seduto su un masso: Riflessioni che governanti "caca-causi"(che se la fanno nelle brache) non sono in grado di capire o peggio, non vogliono capire. Il primo "o", a mio giudizio è la sola soluzione praticabile. Chissà , forse un popolo stanco e angariato potrebbe reclamare con la forza il diritto di seguirla.

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    1. In linea di principio riappropriarsi della sovranità monetaria forse non sarebbe quel gran disastro che molti paventano. Tecnicamente per sganciarsi dall'euro non è neanche necessario uscire dalla moneta unica, sarebbe sufficiente che il tesoro cominciasse a emettere biglietti di stato per pagare le proprie spese e con i quali riscuotere le tasse. Dal punto di vista politico, però, l'intera Unione Europea, e non solo l'eurozona, ne uscirebbe con le ossa rotte.
      Circa la capacità di un popolo stanco e angariato di saper reclamare i suoi giusti diritti ho forti dubbi. In Egitto, a furia di reclamare, sono sull'orlo della guerra civile.

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  3. SE TI PROPONGO DI VERSARE L'IMU COME RATA DI RIMBORSO DI UN PRESTITO ALLO STATO EMESSO AD UN TASSO DI INTERESSE SIMBOLICO (AD ESEMPIO 1%) LO STATO RISPARMIA PER INTERESSI PASSIVI LA STESSA SOMMA CHE INCASSA IN IMU E COSI' SI PUO' FARE PER DIVERSE IMPOSTE IN MODO DA RIDURRE LA PRESSIONE FISCALE DI COLPO ED AUMENTARE IL NUMERO DEI RISPARMIATORI ITALIANI. QUESTA E' LA SOLUZIONE LAPALISSIANA CHE PUO' PRECEDERE IL RIACQUISTO DELLA SOVRANITA' MONETARIA, DA UTILIZZARE PER

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    1. Sì, non vi è dubbio, è una soluzione lapalissiana. Ma la finanza pubblica non è materia che i nostri governanti riescono a digerire, a meno che non sia finanza allegra. Al divide et impera hanno sostituito sperpera et impera.

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