lunedì 14 gennaio 2013

Birra, grappa, cocaina e povertà - terza puntata


Riassunto delle puntate precedenti
Ela è un’immigrata rumena che l’11 maggio 2012 compirà trentadue anni. Abita all’incirca da un paio di mesi insieme a Gregorio, nonché altri due rumeni, in un appartamentino del villaggio ‘‘Il Gabbiano’’ appartenente al condominio.
A maggio dello scorso anno Gregorio, giardiniere e custode del complesso residenziale, me la mandò per aiutarmi a spostare i mobili di casa, dato che dovevo tinteggiare le stanze.
Durante il nostro primo incontro Ela mi dice, tra l’altro, di aver lasciato in patria la figlia di dieci anni e che il Bullo di Casacalenda, uno sfaccendato assieme al quale l’avevo intravista per la prima volta, sarebbe vecchio perché i suoi «cinquantasei anni li dimostra proprio tutti».
E mi disse inoltre qualcosa che mi aveva spinto a riflettere:
«Non voglio andare né sulla strada né lavorare ai night».

Terza puntata
Il pomeriggio di giovedì dieci maggio Ela si ripresentò come d’accordo a casa per lavorare. Stavolta, a differenza del giorno prima, l’insopportabile puzza di sudore non si sentiva.
Si era lavata.
Però gli effluvi alcolici che spargeva dalla bocca li sentivo eccome. Sarebbe bastato accendere un cerino per provocare un incendio.
«Ho bevuto un po’ di birra e un po’ di grappa».
‘‘Un po?’’, pensai.
Persino la sua pancetta, a distanza di ventiquattr’ore, sembrava un tantino cresciuta. Ma forse perché indossava adesso una t-shirt più aderente.
Ci mettemmo al lavoro. Il giorno precedente avevamo svuotato dei mobili una camera. L’aiuto che le avevo chiesto all’inizio non era quindi più necessario, bisognava ora cominciare a scartavetrare e stuccare. Si era comunque offerta di aiutarmi anche a pittare e io avevo accettato. Attorno alle sei smettemmo e ci salutammo, rimanendo intesi di proseguire il giorno dopo.
L’indomani, venerdì undici, giorno del suo compleanno, alle tre non venne. Non mi disperai, lavorai da solo.
La sera, verso le sei e mezzo, attaccò a telefonare. Chiamò tre volte. Non risposi. Non avevamo ormai alcuna urgenza di sentirci. Troppo tardi.
Neanche sabato si fece viva. Né provò a telefonare. Domenica tredici maggio, dopo pranzo, chiamò e io risposi, mosso soprattutto dalla curiosità. ‘‘E questa di domenica cosa diavolo vuole?’’, mi domandai.
«Gabi, voglio parlare con te».
«Va bene, parla, il telefono serve per parlare».
«No, no, non al telefono».
«E allora vieni, così parli quanto e come ti pare».
Mi prese alla lettera, in un certo senso. Varcata la mia soglia e ricevuti i miei tardivi auguri di buon compleanno, disse infatti:
«Ieri sera c’è stata una festa».
«Per il tuo compleanno?».
«Sì. Alla casa di Giosuè».
Mi venne da ridere. Era venuta in sostanza a dirmi che aveva passato la sera, e probabilmente anche la notte, con il Bullo di Casacalenda.
«Gli piace la grappa», disse.
‘‘Be’, piace pure a te’’, non potei fare a meno di pensare.
«Certo mi sono divertita, però adesso ho mal di testa».
«Vuoi un’aspirina?».
«No, no».
Non doveva dolerle poi tanto, la testa, se non voleva l’aspirina. Di sicuro le occhiaie le aveva profonde. Ma alla pessima cera si aggiungeva una specie di delusione.
La festa che il Bullo aveva dato in suo onore non l’aveva resa felice.
No, per niente felice. Qualcosa era andato storto.
O magari non era andato storto proprio nulla e quel suo visetto stanco e un po’ triste era tutta una finta. Una balorda tecnica di seduzione che mirava contemporaneamente a ingelosirmi e a incoraggiarmi.
Aveva sì passato la serata con il Bullo, purtroppo però il Bullo non si era mostrato all’altezza e lei, poverina, si vedeva costretta a cercare di meglio.
‘‘Cercare che’’, rimuginai tra me, ‘‘un altro cliente? Scordatelo’’.
Finito il colloquio, la salutai cordialmente e l’accompagnai alla porta.
(3 – Continua)

2 commenti: