Gli effetti delle elezioni europee di fine maggio 2014 cominciano finalmente a farsi sentire in maniera fragorosa, traducendosi in atti politici concreti.
Come si ricorderà, in quella tornata elettorale il risultato eclatante si registrò in Francia, dove il Front National, formazione nel cui programma figura al primo posto il riacquisto della sovranità monetaria per liberare il paese dal giogo tedesco che ne danneggia l’economia, ottenne il 25% dei suffragi.
Appena terminato lo spoglio, l’ineffabile monsieur Hollande, président de la république française, il cui partito socialista era sceso a un misero 14%, dichiarò che era giunta l’ora, per l’Unione europea, di puntare alla crescita e all’occupazione, anziché al puro e semplice restringimento dei deficit pubblici, come preteso dai tedeschi. Si manifestò in tal modo la prima crepa nell’asse Parigi Berlino. Infatti i governanti francesi avevano fino a quel giorno assecondato, da fidi valletti, tutti i capricci della graziosa kanzlerin Angelina Merkel, consentendole di sottomettere con facilità, a partire dal 2010, l’eurozona al Reich germanico.
Da fine maggio l’ineffabile monsieur Hollande ha più volte ribadito la necessità di sostenere in Europa la crescita economica, senza comunque insistere troppo e, men che mai, agire di conseguenza, come se temesse d’irritare la graziosa kanzlerin, la quale dal canto suo ha mostrato di non prestare il benché minimo ascolto a monsieur le président.
Il 23 agosto a Parigi è però scoppiata una vera bomba.
In un’intervista rilasciata al quotidiano ‘‘Le Monde’’, il ministro dell’economia Arnaud Montebourg si scagliava contro l’austerità di marca teutonica, definendola «un’aberrazione economica in quanto aggrava la disoccupazione, un’assurdità finanziaria poiché rende impossibile il risanamento dei conti pubblici e un flagello politico in quanto getta gli europei nelle braccia dei partiti estremisti che vogliono distruggere l’Europa».
Impossibile dargli torto, in effetti. Ciò malgrado il primo ministro Manuel Valls, poco desideroso di creare attriti con i tedeschi, presentò subito le dimissioni, ricevendo immediatamente dall’ineffabile monsieur Hollande l’incarico di formare un nuovo governo. Cosa che avvenne il 27 dello stesso mese e consisté in un rimpasto nel quale Montebourg e altri due o tre che condividevano le stesse idee vennero sostituiti con persone meno sanguigne.
Ma un’altra bomba sarebbe scoppiata, sempre a Parigi, i primi di settembre. Il governo Valls bis ottenne sì la fiducia dell’assemblea nazionale, all’appello mancarono tuttavia una quarantina di voti ottenuti a suo tempo dal Valls uno. Segno che i dissidenti à la Montebourg si stavano moltiplicando anche tra i deputati della gauche, e non solo tra l’elettorato che simpatizza sempre più per il Front National guidato da Marine Le Pen.
Da tale circostanza l’ineffabile monsieur Hollande ha saputo trarre le inevitabili, nonché lapalissiane, conclusioni. E’ ben consapevole che alla scadenza del mandato le sue probabilità di essere rieletto président de la république française equivalgono a zero. A parte ciò, presiedere fino al 2017 un governo con l’appoggio di una maggioranza risicata nell’assemblea nazionale (ricordo che in Francia il presidente della repubblica presiede il consiglio dei ministri) è una seccatura da evitare come la peste. Gli è stato perciò giocoforza adeguarsi ai tempi.
Essere, o non essere, contro la graziosa kanzlerin?
Meglio essere, a questo punto, è stata la risposta.
Ciò spiega perché il primo ottobre il ministro delle finanze Michel Sapin, nel presentare la legge di bilancio per il 2015, ha detto chiaro e tondo che la Francia non rispetterà né il patto di stabilità né il patto di bilancio (fiscal compact), rinviando in pratica a data da destinarsi gli aggiustamenti imposti e concordati con la commissione europea.
«Nessun ulteriore sforzo sarà richiesto alla Francia», recita il comunicato che accompagna la legge di bilancio illustrata da Sapin, «perché il governo – assumendosi la responsabilità di bilancio di rimettere sulla giusta strada il paese – respinge l’austerità».
In parole povere, l’asse Parigi Berlino si è spezzato.
E’ una splendida notizia, giacché presto o tardi anche le altre nazioni tartassate dell’eurozona imiteranno l’esempio francese e cominceranno ad attuare politiche economiche anticicliche, alleviando le sofferenze recate ai propri popoli per obbedire agli ordini distruttivi diramati da Berlino. Nella migliore delle ipotesi, non va nemmeno esclusa l’eventualità che la moneta unica si spappoli.
Europei sì, ma fessi no. Dico bene? E se del resto i francesi possono permettersi certi lussi, perché noi non dovremmo?
Non ci resta quindi che esprimere tutta la nostra gratitudine all’ineffabile monsieur Hollande. Nel suo piccolo, è un grande. Ci ha dato, magari non volendo, il buon esempio.
Merci, monsieur le président.
Nessun commento:
Posta un commento