lunedì 3 novembre 2025

L'aggressione alle Due Sicilie e la questione meridionale

 La storia, si dice, la scrivono i vincitori. Di sicuro la storia dell'unità d'Italia, il cosiddetto risorgimento, è in gran parte frutto della propaganda sabauda. Un frutto non propriamente veritiero, ma di cui ciò malgrado ancora oggi quasi tutti continuano a cibarsi. Mentre invece una descrizione dettagliata degli avvenimenti accaduti, basata soltanto su fonti documentali, sfata i miti dell'epopea risorgimentale tanto cara ai testi scolastici.

Per fortuna anche in campo storiografico il progresso è possibile, consentendo la correzione degli errori. Ne è prova il recente volume, edito da Magenes e a firma di Patrizia Morlacchi, intitolato "L'assalto alle Due Sicilie" e sottotitolato "La riduzione del Mezzogiorno a colonia interna".

E' pur vero che Patrizia Morlacchi gode meritata fama d'essere autrice di romanzi gialli, quali "La tela di Sant'Agata" e "Hanno ammazzato il guercio", però la sua attenzione per il risorgimento non è di fresca data. Risale infatti al 2011 la pubblicazione di "Caro Macchi... Palermo 1860", nel quale ha raccontato le vicende di Agostino Depretis nelle vesti di prodittatore di Sicilia. La sensibilità della giallista per l'unità d'Italia costituisce pertanto un elemento costante dei propri orizzonti culturali. Possiede dunque tutti i numeri per parlarne con competenza.

I fattori che condussero il piccolo regno di Sardegna a trionfare nelle campagne militari e politiche del 1859 e 1860 vengono con minuzia indicate da Morlacchi. Viene innanzitutto presa in considerazione la luciferina abilità del conte di Cavour, primo ministro dello stato sabaudo, uno statista tanto spregiudicato da perseguire gli scopi prefissi con qualunque mezzo, sporco o raramente pulito che fosse. Né viene dimenticato il carisma di Giuseppe Garibaldi, il celebrato comandante dell'impresa dei mille, cui si contrappose l'inesperto ventitreenne Francesco II di Borbone, meglio noto come Franceschiello, ultimo sovrano del regno delle Due Sicilie, mal sostenuto da vertici politici e militari di scarsa competenza e troppo spesso infedeli, per di più osteggiato da Francia e, soprattutto, Gran Bretagna, potenze sostenitrici del Piemonte.

L'isolamento diplomatico del regno del sud, bisogna sottolinearlo, giocò un ruolo decisivo. Il re Ferdinando II di Borbone, ossia il papà del succitato Franceschiello, che regnò dal 1830 al 1859, in politica estera aveva sempre mantenuto la più stretta neutralità. Né nelle guerre carliste in Spagna, né tanto meno nel caso della guerra di Crimea, aveva voluto in un modo o nell'altro compromettersi, suscitando l'ostile irritazione dei governi di sua maestà britannica. Gli inglesi avevano inoltre con lui il dente avvelenato perché aveva cercato di privarli della concessione dello zolfo estratto dalle miniere siciliane, tentando vanamente di cederla a una società francese per ricavarne una rendita superiore. Una linea politica, insomma, diametralmente opposta a quella di Cavour, che alla guerra di Crimea aveva partecipato eccome, ricevendone vantaggi smisurati. Cioè, impadronirsi dell'Italia. O almeno, di quasi tutta.

Patrizia Morlacchi c'invita a non tralasciare il motivo vero che spinse il governo di Torino a mettere occhi e mani sul regno borbonico. La situazione finanziaria del regno di Sardegna era disastrosa, con un pesante debito pubblico, piazzato a tassi d'interesse superiori a quelli degli altri stati italiani, al quale si aggiungeva persino un forte indebitamento con i famigerati banchieri Rothschild. All'opposto le finanze pubbliche del regno delle Due Sicilie erano sane. Per esprimersi in soldoni, l'oro di Napoli faceva gola. E ciò spiega in fin dei conti perché la conquista piemontese ebbe effetti nefasti sull'economia del Mezzogiorno.

La propaganda sabauda ha sempre raffigurato un sud arretrato e povero, per non dire addirittura straccione, contrapposto a un nord già industrializzato e quasi prospero. In altre parole, la sventurata "questione meridionale" sarebbe stata una caratteristica congenita del meridione, comunque preesistente all'unificazione. Nulla di più falso.

La situazione economica delle Due Sicilie non era affatto peggiore di quella del resto d'Italia. L'industria siderurgica e quella cantieristica, solo per fare un paio d'esempi, erano invidiabili e davano lavoro a migliaia di addetti. La flotta mercantile era una delle maggiori d'Europa. L'emigrazione era inesistente, al contrario di quanto verificabile al nord.

La tragedia economica del sud fu causata dalle conquista piemontese e dalla lunga guerra condotta per piegare la resistenza popolare. Contadina, per essere esatti. E fu così che agli inizi degli anni Settanta dell'Ottocento al sud non vi erano più industrie, ma in compenso più tasse e leva obbligatoria e per i poveri non rimaneva altro sfogo che l'emigrazione.

Sì, inutile tacerlo, "L'assalto alle Due Sicilie" racconta una storia amara. Però è di sicuro un libro che accresce la nostra consapevolezza su quegli eventi e ciò basta per sentire il bisogno di leggerlo.        

domenica 14 settembre 2025

Chi di sterminio perisce di sterminio ferisce

 La storia è nota. Durante la seconda guerra mondiale i tedeschi trucidarono sei milioni di ebrei. Lo fecero per ragioni puramente razziali. I tedeschi si consideravano un Herrenvolk, un popolo di signori, e consideravano gli ebrei dannosi subumani da eliminare. 

L'antisemitismo di stampo razzista non fu un'invenzione dei nazionalsocialisti. Allignava in Germania già dagli ultimi decenni dell'Ottocento. Hitler e compari ne fecero una fede mistica e agirono di conseguenza. Fino alle estreme conseguenze, per meglio dire.

Dall'otto ottobre 2023 assistiamo al ripetersi del medesimo fenomeno. Un sedicente popolo eletto, stavolta si tratta di ebrei non di tedeschi, trucida i palestinesi, considerati non esseri umani ma bestie. Ossia, chi di sterminio a suo tempo perì di sterminio oggi ferisce.

Diversi anni fa una studentessa ebrea mi spiegò che il suo era un popolo eletto perché così è scritto nella Bibbia. Il razzismo ebraico non si fonda dunque sul sangue, come quello dei nazisti, ma ha adirittura origini divine. A noi gente di cultura cristana la cosa suona come una bestemmia blasfema. Per noi l'altro, a qualunque popolo appartenga, è secondo gli insegnamenti di Gesù un fratello, non un animale.

Non bisogna perciò meravigliarsi per quanto sta  accadendo a Gaza e in Cisgiordania. Del resto, con una legge promulgata nel 2018, Israele si è proclamato lo stato degli ebrei, stabilendo per sé un'identità di pretto stampo razziale. Quando dunque il professore Luciano Canfora definisce Israele l'erede del terzo Reich esprime un elementare dato di fatto, una verità nuda e cruda.

Una seconda caratteristica per niente edificante di Israele è la sua natura coloniale, consistente nell'appropriazione di territori appartenenti ad altri, fondamento questo dell'ideologia sionista. Gli ebrei persero definitivamente la Giudea nel 135 d.C., anno in cui si concluse la terza guerra giudaica, iniziata tre anni prima con la rivolta contro la dominazione di Roma, scoppiata perché l'imperatore Adriano aveva proibito la circoncisione, da lui considerata un'usanza barbara. Judaea delenda est, decise Adriano, e le legioni sconfissero i rivoltosi ammazzando più di mezzo milione di persone e fecero com'è ovvio tabula rasa, non solo radendo al suolo i centri abitati ma anche estirpando le piante. La provincia di Giudea fu soppressa e il suo territorio, ridenominato ufficialmente Palestina, assegnato alla provincia di Siria. Agli ebrei superstiti non restò che seguire la via della diaspora.

Quasi diciotto secoli più tardi, il 2 novembre 1917, grazie alla dichiarazione resa dal ministro degli esteri britannico Arthur Balfour, i sionisti ottennero un concreto appoggio alla possibilità di stabilire un "focolare nazionale" in Palestina e, è il caso di dirlo, non persero tempo. I primi insediamenti ebraici in Palestina risalgono infatti agli anni Venti del Novecento. Nel 1948 il colonialismo sionista trionfò dando vita allo stato di Israele, in virtù della risoluzione Onu 181 del 29 novembre 1947, suscitata dallo sdegno per i sei milioni di ebrei massacrati nel frattempo dai tedeschi.

Ognuno di noi adesso si chiede: quando finirà l'orgia omicida scatenata dagli israeliani ai danni dei palestinesi? Senza il sostegno degli Stati Uniti d'America e dei loro scherani europei terminerebbe subito. Basterebbero poche settimane di sanzioni economiche e tutti gli ebrei abbandonerebbero di corsa la Palestina, non avendo più nulla di che sopravvivere. E' purtroppo un'aspettativa oggigiorno impossibile. Finché il declino degli Stati Uniti non sarà completo il razzismo sionista non demorderà. E' però vero che nulla dura in eterno. Presto o tardi gli americani saranno costretti a scaricare loro malgrado gli ebrei e Israele scomparirà dalla carta geografica.        

mercoledì 16 luglio 2025

Il gusto amaro del declino

 La guerra è uno sporco mestiere e l'unica guerra giusta è quella che non viene combattuta. Così recita l'articolo uno della legge etica della guerra.

Articolo due. La guerra è un'attività criminale effettuata dagli stati. O da fazioni all'interno di essi, nel caso di guerre civili. Oppure dai loro mandatari contro altre nazioni, nel caso di guerre per procura.

Articolo tre. Chi viene attaccato, ovvio, cercherà di difendersi e avrà diritto, in base all'articolo 51 della carta delle Nazioni Unite, di richiedere ad altri stati d'intervenire in suo soccorso.

Esaurita tale elevata e doverosissima premessa teorica, passiamo alla pratica. Ossia alle recenti vicessitudini guerresche. 

 L’8 febbraio 2022 a Kiev il presidente francese Emmanuel Macron, durante la conferenza stampa tenutasi a chiusura dei colloqui intercorsi con il suo omologo indigeno Wolodymyr Zelensky, dichiarava che l’Ucraina si diceva pronta ad attuare gli accordi di Minsk. Passate ventiquattr’ore, Zelensky si rimangiava la parola. 

Il giorno prima, a Mosca, Macron aveva dialogato a lungo con il boss russo Vladimir Putin, il quale gli aveva dichiarato a chiare lettere che non vedeva di buon occhio l'ingresso dell'Ucraina nella Nato, ma avrebbe invece desiderato l'attuazione degli accordi di Minsk.

Ma che cosa aveva spinto Emmanuel Macron a intraprendere quel suo tour de force diplomatico tra Mosca e Kiev, rivelatosi purtroppo alla fine privo di esiti positivi? Be', le buone ragioni non gli mancavano per niente. Da settimane i comandi russi ammassavano truppe e mezzi ai confini con l'Ucraina, lasciando presagire la peggiore delle mosse successive. Guerra!  

Dopo il voltafaccia ucraino il governo russo riconosceva il 21 febbraio 2022 le repubbliche di Doneck e Lugansk, militarmente aggredite dai nazionalisti di Kiev a far tempo dal 2014. Poi, il 24 febbraio 2022, ricevuta dai capi delle due regioni autonomiste la richiesta d’aiuto, ordinava alle proprie forze armate di intervenire nel conflitto, rispettando formalmente l'articolo 51 della carta delle Nazioni Unite. Ciò spiega, tra parentesi, perché la corte penale internazionale non abbia mai accusato il presidente della federazione russa di aggressione armata ai danni di un altro paese, ma lo abbia invece accusato d'aver allontanato i bambini dalle zone di guerra.

E' stato quello russo un azzardo? Un marchiano errore di calcolo?

No, affatto. Dagli inizi del XXI secolo si stavano verificando eventi che consentivano alla Russia di affrontare i mandatari della Nato con ottimismo. 

Come sappiamo la Nato è lo strumento attraverso il quale gli Stati Uniti d'America dominano l'Europa occupandola militarmente. Da prima la sola Europa occidentale e in seguito anche l'Europa degli ex paesi del patto di Varsavia. Però gli USA del XXI secolo non sono più, grazie alle delocalizzazioni, quella grande potenza industriale di un tempo, soppiantati in ciò dalla Cina. Persino la supremazia tecnologica americana viene oggi insidata dal rinato celeste impero. Inoltre la stessa Russia ha registrato negli ultimi lustri una sorprendente rinascita economica, riscattandosi dal disastroso decennio degli anni novanta. E poiché Cina e Russia sono amici, l'America è kaputt.

Abbiamo avuto del declino statunitense una recentissima prova nel vicino oriente, quando i loro scherani attivi in loco, mi riferisco com'è lapalissiano agli occupanti ebrei della Palestina, hanno aggredito l'Iran e guadagnato in risposta una legnata con i fiocchi. E poiché Iran, Russia e Cina sono amici, l'America è kaputt.

Il declino degli Stati Uniti è ormai un fatto accertato e irreversibile. Vedono nella Cina il loro principale rivale strategico. Ma se non sono capaci di sconfiggere né l'Iran né la Russia farebbero bene a comportarsi educatamente con Pechino. Perché se volessero usare le maniere forti la conclusione sarà una soltanto. Kaputt.