venerdì 9 agosto 2013

Notte di guerra

Il cancello era spalancato. Il tassì entrò procedendo adagio, in prima, nel viale che saliva alla villa. La ghiaia crocchiava sotto i pneumatici e i fari illuminavano i fusti e le fronde più basse dei tigli. Superata una curva la macchina giunse a uno slargo e gli abbaglianti proiettarono la loro luce cruda contro la facciata di casa Kadar.
Il tassì si fermò davanti all’ingresso. Il generale Willy Kadar pagò e scese. Vi era, parcheggiata vicino alla porta, una Daimler di grossa cilindrata. Al primo piano i riverberi smorti dell’abat-jour filtravano dalle tende della sua camera da letto, mosse da un alito di vento.
L’autista fece manovra e ripercorse il viale a ritroso. Per lunghi, lunghi istanti il generale restò immobile a qualche metro dalla porta, la borsa da viaggio ai sui piedi e la cartella dei documenti in mano, aspirando il profumo dei tigli e volgendo gli occhi dalla Daimler alla finestra della camera sua.
Si chiese di chi potesse essere quella Daimler e come mai il cancello fosse aperto. Si chiese perché sua moglie tenesse ancora la luce accesa. Mezzanotte era passata da diversi minuti e lei, per abitudine, si assopiva sempre alle dieci e mezzo, o alle undici, al massimo. Forse Greta leggeva. Forse.
Il generale non tornava a casa da sette mesi. Si sentiva molto stanco e non si aspettava di trovare il cancello lasciato aperto, né la Daimler, né sua moglie ancora sveglia a quell’ora.
Come il tassì si fu allontanato il silenzio divenne assoluto, eccetto che per il canto dei grilli e per lo scorrere del fiume. Nessuna voce, neanche un sussurro, proveniva dalla camera da letto.
Raccolse la borsa da viaggio e s’incamminò a sinistra, lungo il muro. Non aveva la chiave e per entrare in casa avrebbe dovuto farsi aprire, ma di suonare il campanello nemmeno a pensarci, non era proprio il caso. La domestica dormiva in una camera a pian terreno, sul retro, e lui sarebbe andato a bussarle ai vetri.
Svoltò l’angolo e proseguì sul marciapiedi che girava torno torno alla villa. Passando davanti a una porta finestra del salone si accorse che era socchiusa. La spinse con il gomito ed entrò.
Poggiò il bagaglio a terra. Il pannello scorrevole tra il salone e l’atrio era schiuso e poiché un’applique, nell’atrio, era accesa, nel varco s’infilava una lama di luce. Attraversò il salone e fu nell’atrio. Sulla mensola posta di lato all’entrata di casa notò un paio di guanti e un berretto da ufficiale. Avvicinandosi constatò, dal fregio, ch’era il berretto di un ufficiale del corpo sanitario. Non poté non trarne l’ovvia conclusione: Greta nottetempo riceveva, in camera da letto, un medico militare.
Ritornò nel salone e sedette su un divano. Il cuore gli batteva a precipizio, una reazione per lui insolita. Dopo un po’ udì qualcuno scendere dal piano di sopra. Girò la testa verso l’atrio e scorse, sulla rampa, un uomo in divisa con una borsa di cuoio in mano. Lo osservò bene in faccia e lo riconobbe.
«Dottor Korch», esclamò.
L’uomo si bloccò e diresse lo sguardo al salone, ma essendo il salone al buio non gli riuscì certo di distinguere il generale. Non subito, almeno, perché in verità il generale fu sollecito ad alzarsi dal divano e ad apparire nell’atrio.
«Dottor Korch, buonasera».
«Buonasera, generale».
Si strinsero la mano.
«L’hanno richiamata, vedo».
«Sì, a gennaio».
«L’uniforme le dona», disse il generale e gli sorrise.
«Per favore, non mi prenda in giro. Abbia pietà di me».
«Non la prendo in giro. Davvero, le dona».
«Lasci perdere il fascino della mia uniforme. Mi offra un cognac, piuttosto. Ne ho proprio bisogno».
«Con piacere. Prego».
Il generale accese le luci del salone e aprì la scansia dov’erano riposti i liquori. Il dottor Korch, frattanto, prendeva posto in poltrona.
Il generale, versato il cognac in un bicchiere, lo porse al dottore e sedette di fronte a lui.
«Lei non beve?».
«Ne avrei anch’io un gran bisogno, ma preferisco di no».
«Bene», il medico levò in alto il napoleone, «alla salute».
«Prosit».
Il dottor Korch sorseggiò appena il cognac e si passò una mano sul volto. Sembrava esausto e i sessant’anni suonati e mal portati non miglioravano per niente il suo aspetto.
«Stasera lei, caro amico, l’ha fatta grossa».
Willy Kadar neanche tentò di dissimulare la sua meraviglia. «Io?».
«Lei. Pur senza averne colpa, lo riconosco».
«E cosa avrei fatto?».
«Ha telefonato qui a casa da Volksburg per dire che sarebbe tornato. O meglio, che forse sarebbe tornato per qualche ora, se le fosse stato possibile».
«Vero, ma che c’è di male? Sono arrivato a Volksburg in aereo, nel tardo pomeriggio, insieme al generale Wallenstein, il comandante della terza armata, di cui io sono l’aiutante, convocati d’urgenza dal capo di stato maggiore. Ho avuto un momento libero e ho telefonato. Ancora non sapevo se finiti i colloqui con il capo di stato maggiore dovevo ripartire subito per il fronte o se il generale Wallenstein mi avesse lasciato il tempo per una scappata veloce a casa. Dov’è l’errore?».
«In circostanze normali non ci sarebbe stato nulla di male. Questa è casa sua, dopotutto. Ma le circostanze, ahimè, non sono affatto normali».
«Dottore, quello che mi sta dicendo è spaventoso. Vuol dire che Greta è...?».
«No, no. Stia calmo».
Il generale non si trattenne e balzò in piedi.
«Le ordino, generale, di star calmo, ammesso che sia concesso a un tenente colonnello di dar ordini a un generale di brigata. Ma io, a ben riflettere, oltre ad essere tenente colonnello sono anche medico e, soprattutto, sono suo amico. Perciò si sieda».
Il generale ricadde in poltrona. Il dottor Korch sorseggiò un altro goccio.
«Quando stasera lei ha telefonato qui a casa da Volksburg, sua moglie era ricoverata in ospedale».
«Ricoverata addirittura in ospedale. E cos’ha?».
«Cosa aveva, dovrebbe dire».
«Questo significa che il pericolo è passato?».
«Sì, è passato. Ma non m’interrompa, la prego. Mi lasci continuare».
«Scusi».
«Non ha nulla di cui scusarsi». Il dottore abbozzò un sorriso, avvicinò il bicchiere alle labbra e sorbì un’altra stilla di cognac. «Sua moglie era in ospedale perché sabato scorso l’ho operata».
«Operata? E cosa aveva?».
«Cancro ai polmoni».
«Cielo!».
«Circa un mese fa ha cominciato a sputar sangue. Si è fatta visitare e i miei colleghi le hanno riscontrato un tumore al polmone sinistro, dicendole che non era operabile, né curabile, le si potevano solo somministrare dei palliativi chimici, che sono però il più delle volte un rimedio peggiore del male. La signora Greta per sua fortuna mi ha cercato e mi ha chiesto di visitarla. Come ho avuto un attimo di respiro dai miei impegni di servizio l’ho visitata e ho potuto accertare che era invece operabilissima. E a quanto pare, avevo ragione».
«L’operazione, quindi, è riuscita».
«Sì».
«E adesso sta bene?».
«Sì, sta bene. Il tumore era benigno e non appena la cicatrice si sarà del tutto rimarginata sua moglie ritornerà ad essere la splendida giovane signora di sempre». Il dottore, quasi controvoglia, sorrise. «Follemente innamorata del suo generale».
«Le sono debitore, non potrò mai ringraziarla abbastanza».
«Per ben altro deve ringraziarmi». Il dottore centellinò un piccolo sorso. «Ma domattina la libera uscita finisce. Verrà un’ambulanza e la riporterà in ospedale. Le bende le vanno ancora cambiate con una certa frequenza ed è opportuno inoltre tenerla sotto osservazione per un’altra decina di giorni, e qui non è pratico».
«Mi faccia capire, mica è scappata dall’ospedale?».
«Più o meno. E comunque, non senza il mio consenso».
«Ma scusi, se lei gliel’ha consentito, Greta dall’ospedale non è scappata. Delle due l’una».
«Gliel’ho detto, le ho concesso una libera uscita. O, se preferisce, un permesso breve. Lo chiami come le pare».
«Dottore, la prego, sono anch’io molto stanco e terribilmente emozionato per tutte queste novità che ho scoperto arrivando a casa, perciò non giochi con me, mi spieghi ciò che è avvenuto con semplicità, evitando di scherzarci sopra. Un giorno magari ne rideremo, ma ora...».
«Possiamo riderne già adesso, se è per questo. Non che sia accaduto nulla di ridicolo, tutt’altro. Anzi, ho una mezza idea che si sentirà felice nel sapere che razza di trambusto ha causato telefonando stasera qui a casa».
«E quale trambusto avrei causato?»
«Santo cielo, ma non conosce sua moglie? Una donna estremamente volitiva, direi, oltre che perdutamente innamorata del marito, cioè lei. La invidio, sa».
«Dottor Korch, veniamo al dunque».
«Il dunque? È presto detto. La vostra donna di servizio, dopo la sua telefonata, è corsa in ospedale per informare sua moglie che lei si trovava nella capitale e che forse avrebbe potuto fare un salto qui a Fillingen».
«A me Rose, la domestica, ha semplicemente detto che Greta non era in casa, senza precisarmi che era ricoverata in ospedale, così ho pensato che fosse uscita a cena, o andata al teatro».
«Gliel’ha taciuto a fin di bene. Ad ogni modo sua moglie, saputo che lei forse stava per tornare, ha insistito per essere immediatamente dimessa».
«E voi l’avete accontentata».
«Le assicuro che spuntarla, per sua moglie, non è stato tanto facile. L’uomo che dirige in vece mia il reparto di chirurgia qui all’ospedale di Fillingen non voleva saperne. Ma è stato mio assistente per anni, e prima di opporre un rifiuto definitivo ha preferito consultarmi, telefonandomi a Volksburg».
«Perché, lei presta servizio a Volksburg?».
«Sì, sono primario di chirurgia all’ospedale militare di Volksburg. Cosa credeva, che fossi tornato dal fronte, come lei?».
«Naturalmente no. Supponevo che prestasse servizio qui a Fillingen».
«A Fillingen non ci sono ospedali militari».
«E già, non ci sono. Finisca di raccontare, la prego».
Il dottore assaporò un altro po’ di cognac. «Ho suggerito al mio sostituto di esaudire i desideri della paziente e di rimandarla a casa insieme a un’infermiera che l’assistesse durante la notte».
«Ed è quanto è avvenuto».
«Sì».
«Ma perché ora si trova anche lei qui? Cos’è successo?».
«Niente. Cosa doveva succedere? Sono venuto per curiosità. Una curiosità medica, beninteso».
«Ossia?».
«Ho voluto verificare se lei tornava davvero a casa».
«E a quale scopo? Mi sembra una curiosità piuttosto singolare, se permette, non una curiosità medica».
«Sbaglia. La signora Greta tre giorni fa ha subito un intervento chirurgico di un certo rilievo e quando stasera ha saputo del suo ipotetico ritorno ha fatto il diavolo a quattro affinché lei la ritrovasse qui a casa e non su un letto d’ospedale. Riesce a immaginare la delusione di sua moglie se lei, generale, non avesse avuto la possibilità di tornare?».
«Sì, ci riesco. Ci riesco, non ne dubiti».
«Ed è per questo che sono venuto. Se il generale Kadar non sarà libero di tornare a Fillingen, mi son detto, la signora Kadar avrà senz’altro bisogno di qualcuno che le somministri dei sedativi. E chi, se non io?, mi son detto. L’infermiera che sta su con lei non si sarebbe mai presa la briga».
«Capisco».
«Fino alle dieci, questa sera, ho operato. Poi, uscito dalla sala operatoria, ho mangiato un boccone e mi sono messo in macchina. Da Volksburg a Fillingen, per fortuna, in autostrada basta un’ora, altrimenti, stanco com’ero...».
«Invece io sono venuto in treno».
«In treno ci vuole quasi il doppio».
«No, soltanto un’ora e venti». Il generale sorrise. «Gli ottanta minuti più lunghi della mia vita».
«Esagerato».
«Esagero? Solo un po’».
Sorridendo a sua volta il dottore assentì. «Le credo, amico mio, le credo». Bevve il poco cognac rimasto e depose il bicchiere vuoto sul tavolinetto.
«Ne gradisce dell’altro?».
«No, grazie. Meglio se me ne vado a dormire, è ora». Agguantò per la maniglia la borsa di cuoio lasciata sul tappeto accanto alla poltrona e si alzò. «E lei salga da sua moglie, la sta aspettando».
Il generale accompagnò il medico alla porta e gli augurò, ricambiato, la buonanotte. Dopo di che salì d’impeto i gradini che portavano al primo piano, desideroso di ritrovarsi finalmente con la sua Greta, convalescente e appassionata.
*
Willy Kadar cadde tre mesi più tardi, il 21 settembre, ucciso dalle schegge di una granata da mortaio durante un’ispezione ai reparti in prima linea.



7 commenti:

  1. Proprio bello, complimenti.
    sinforosa

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    1. Ti ringrazio, Sinforosa, per il giudizio tanto lusinghiero. Sono scapolo ma, come ti sarà facile immaginare, una donna così innamorata del suo uomo come Greta la sogno anch'io.

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    2. È capibile, tutti noi desideriamo l'amore fedele e magari eterno "finché morte non ci divide".

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  2. Sempre il solito, coinvolgente, tagliente Gabriele.

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    1. Dai, Luigi, stavolta tagliente no. Sentimentale, diciamo. Eh, cosa vuoi, ho anch'io i miei difetti.

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  3. Forte e dialogo eccellente tra UOMINI e non tra caporali.

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    1. Sì, dici bene, tra uomini. Uomini che sanno apprezzare l'amicizia che li lega e sanno anche apprezzare una donna innamorata.

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