venerdì 5 luglio 2013

La strategia del grillo

Da svariate settimane tra i sostenitori e simpatizzanti del compagno Gargamella una domanda sorge e risorge spontanea: perché grillo sparlante non ha fatto il governo con noi, perché ci ha costretti a replicare l’incestuosa alleanza con il noto femminista?
La risposta è banale. Grillo sparlante, fatti due conti, ha preferito così.
Non posso a questo punto sottrarmi all’obbligo, morale e logico, di chiarire il significato dell’inciso ‘‘fatti due conti’’, da me inserito senza alcun intento sibillino.
I conti si fanno con i i numeri e i numeri usciti dalle urne dopo la tornata elettorale del 24 e 25 febbraio 2013 erano di due tipi: ovvi da un lato, sorprendenti dall’altro.
La fazione guidata dal compagno Gargamella ha ottenuto il 29,54%, mentre quella capitanata dal noto femminista il 29,13%. Sostanzialmente, un pareggio, come era nelle attese. Alla camera, comunque, quell’unghia di consensi in più ha consentito al compagno Gargamella di papparsi il premio di maggioranza. Non così al senato, per effetto della diversa modalità di calcolo del premio. Non a caso il compagno Gargamella durante la campagna elettorale aveva programmato, al senato, di ricorrere alla stampella del neopartitucolo montiano. Sogno che è stato punito dagli elettori con una sonora pernacchia.
Altri sono stati invece i risultati importanti. Primo, un quarto degli elettori ha disertato il voto. Secondo, i cri cri hanno registrato il 25,55% dei consensi, cifra da nessuno prevista.
Per un paio di giorni, come si ricorderà, grillo sparlante rimase abbottonatissimo, ritirandosi a confabulare in separata sede con il suo guru telematico. Riemerse dai segreti colloqui avendo in testa una precisa strategia operativa, quella del ‘‘tutto o niente’’. Tradotto in soldoni: non appoggeremo un governo diretto dal compagno Gargamella.
Molti, e tra questi tanti cri cri, si aspettavano il contrario. Con ogni probabilità, se grillo sparlante avesse raccolto una messe meno imponente di voti, avrebbe accontentato il Gargamella, per la semplice ragione che gli sarebbe convenuto. Ma con un bottino pari al 25,55% allearsi con un mezzo perdente significava sputare in faccia alla fortuna. Meglio attendere con un po’ di pazienza il sicuro aumento dei disoccupati, inevitabile grazie alle politiche economiche procicliche imposteci da Frau Merkel, e sbaragliare al prossimo giro i concorrenti. In politica, come nello sport, partecipare è facoltativo. Obbligatorio è vincere.
La strategia del ‘‘tutto o niente’’ ha un precedente storico di grande rilievo. In Germania, alle elezioni del luglio 1932, Adolf Hitler conquistò, con 230 seggi, la maggioranza relativa al Reichstag. Il cancelliere Franz von Papen gli offrì la carica di vice-cancelliere, nonché alcuni ministeri per i suoi tirapiedi. Il caporale austriaco rispose di no, pretendendo per sé la poltrona più ambita. A novembre si tornò di nuovo al voto e stavolta i nazisti persero 34 seggi, pur rimanendo il primo partito. Von Papen rinnovò al caporale il suo invito, ricevendo un altro no, benché tra i nazisti non mancasse chi avrebbe invece preferito acconsentire, in base al noto principio etico secondo il quale è meglio qualche poltrona che nessuna poltrona.
Von Papen si dimise e il presidente von Hindeburg nominò al suo posto Kurt von Schleicher che, per ottenere l’incarico, non se ne era certo stato con le mani in mano. Ma a Franz von Papen l’aver perso la poltrona rodeva non poco. Il 4 gennaio del 1933 s’incontrò con Hitler, proponendo di formare un governo composto da nazisti e conservatori. Il caporale non si dichiarò contrario, purché cancelliere del nuovo governo fosse lui. Il 18 gennaio ci fu tra i due un nuovo incontro, neanche questo però terminò con un accordo, dato che ambivano entrambi alla poltrona più prestigiosa. Il 22 gennaio si videro ancora e Von Papen, stavolta, si dichiarò disposto ad accettare per sé la carica di vice-cancelliere, lasciando al caporale austriaco la guida del futuro governo. Il 30 gennaio, come si sa, il caporale giurò da cancelliere davanti al presidente Paul von Hindenburg.
Che la strategia del ‘‘tutto o niente’’ possa oggigiorno risultare fruttuosa anche per i cri cri appare un’ipotesi tutt’altro che bislacca. L’unica condizione che dovrà verificarsi affinché ciò avvenga consiste nell’aggravarsi della crisi economica. In tal caso l’attuale governo formato da cani e gatti pagherà, in termini elettorali, lo scotto per non aver saputo invertire il ciclo economico e grillo sparlante innalzerà così il vessillo della vittoria. Se c’è riuscito a suo tempo un caporale, perché ora non dovrebbe riuscirci pure lui?



2 commenti:

  1. Io sono una persona che è stata sempre di sinistra, sono stato un comunista convinto e non mi vergogno di esserlo ancora. Ma pensare che tanti compagni che hanno militato con me in quel partito oggi lasciano passare queste riforme anti democratiche : come la legge elettorale che è peggio del Porcellum ed è sin'anche peggio della legge truffa dell'era fascista, l'eliminazione del Senato che poi in realtà non viene eliminato ma viene fatto da rappresentanti degli enti locali e dai senatori a vita nominati dal Presidente della Repubblica. Tutto ciò non è altro che dare potere ad un solo uomo. E poi come si fa a sopportare i continui ricatti o si fa cosi o me ne vado, cosa aspettano i compagni a dirgli di andarsene, ogni uno che critica le sue proposte è un conservatore o un parruccone, sembra che la verità c'è l'abbia solo lui: mi vengono in mente le parole di Bertrand Russel: "Non smettere mai di protestare; non smettere mai di dissentire, di mettere in discussione l'autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettere di pensare. Siate voci fuori dal coro. Siate il peso che inclina il piano. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai". Oppure come diceva Sandro Pertini "Il problema a mio parere è semplice: non c'è ragione al mondo che giustifichi la copertura di un disonesto. Ma non ti rendi conto mi ha rimproverato uno, che qui crolla tutto, è in gioco l'intero sistema? Il sistema? Dico io: ma io me ne infischio del sistema, se da ragione ai ladri". Quindi cari compagni riflettete su ciò che hanno detto questi vecchi saggi.

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  2. Caro Vincent, io sono un liberale. Condivido pertanto in pieno ciò che sosteneva Russell e, ancor di più, apprezzo la tua disponibilità a dialogare con me.
    La nostra carta costituzionale è sì democratica ma illiberale. Le ragioni sono squisitamente tecniche. Essa è infatti un connubio tra lo statuto albertino, di cui rinnova il più smaccato parlamentarismo, e tre principi dottrinali fascisti: principio proletario, sia pure nelle vesti del cosiddetto "principio lavorista" (art. 1, primo comma), principio della superiorità etica dello stato (art 4, secondo comma) e principio corporativo (Cnel, organizzazione corporativa della magistratura, natura semipubblica dei sindacati). Ti sarà facile dunque immaginare quanto sia favorevole a tutte quelle riforme che diano più poteri al corpo elettorale e riducano, di conseguenza, i poteri del ceto politico. La fine del bicameralismo perfetto, la limitazione delle potestà del capo dello stato e la trasformazione del presidente del consiglio in un capo del governo scelto attraverso il voto migliorerebbero il funzionamento della nostra repubblica e darebbero maggior libertà di scelta ai cittadini. La democrazia, non dimentichiamolo, si basa sul principio di responsabilità e tutte quelle norme costituzionali che riducono le responsabilità degli eletti nei riguardi degli elettori vanno perciò eliminate.

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